Il gusto delle cose: recensione del film con Juliette Binoche

Juliette Binoche e Benoît Magimel sono i protagonisti del melò gastronomico scritto e diretto da Trần Anh Hùng, premio per la migliore regia a Cannes e nelle sale nostrane dal 9 maggio 2024.

Il rapporto tra cinema e cibo è ormai di lunga data. Tante sono infatti le volte che l’audiovisivo è entrato in una cucina, in un ristorante o si è seduto a una tavola imbandita. Ma non ci riferiamo ovviamente ai cooking show che da qualche anno a questa parte spopolano sul piccolo schermo, bensì a quelle volte in cui la Settima Arte ha incontrato quella culinaria per raccontare delle storie. Lunga sarebbe in tal senso la lista di film che lo hanno reso possibile, motivo per cui non staremo qui a stilare un elenco. Preferiamo infatti concentrarci su uno dei più recenti e a nostro avviso riusciti, ossia La passion de Dodin Bouffant, la nuova fatica dietro la macchina da presa di Trần Anh Hùng che Lucky Red servirà sugli schermi nostrani a partire dal 9 maggio 2024 con il titolo Il gusto delle cose. L’opera arriva nelle sale italiane dopo la fortunatissima première mondiale lo scorso anno sulla Croisette dove si è aggiudicata il Premio per la Miglior Regia, un passaggio alla Festa del Cinema di Roma 2023 nella sezione Best of e avere rappresentato la Francia nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero.   

Il gusto delle cose prende ispirazione dal romanzo La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant di Marcel Rouff e dalla figura dello scrittore e gastrosofo transalpino Jean Anthelme Brillat-Savarin

Il gusto delle cose cinematographe.it

Il settimo lungometraggio scritto e diretto dal regista vietnamita d’origine e francese d’adozione, già vincitore della Caméra d’or a Cannes nel 1993 con Il profumo della papaia verde e del Leone d’oro alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia nel 1995 con Cyclo, prende ispirazione dal romanzo La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant del 1924 dello scrittore svizzero Marcel Rouff e dalla figura dello scrittore e gastrosofo transalpino Jean Anthelme Brillat-Savarin. Ambientato nella Francia del 1885, Il gusto delle cose ci porta al seguito della cuoca sopraffina Eugénie e del rinomato chef Dodin Bouffant soprannominato il “Napoleone dell’arte culinaria”, che da oltre vent’anni lavorano fianco a fianco nella residenza con cucina persa tra le campagne dell’antica contea e regione di Angiò. I loro piatti di altissimo livello sono rinomati e considerati tra i più gustosi e raffinati del Paese, tanto da attirare avventori da tutto il mondo, compresi intellettuali e reali. Con il passare del tempo, la pratica della cultura gastronomica e l’ammirazione reciproca si sono trasformate in una relazione sentimentale. Lei però è una donna molto indipendente, motivo per cui ha sempre rifiutato le proposte di Dodin perché vede nel matrimonio una minaccia per la sua libertà. L’uomo allora decide di conquistarla una volta per tutte facendo una cosa che non aveva mai fatto prima: cucinare per lei.

Il film di Trần Anh Hùng è al contempo una dichiarazione d’amore nei confronti della Settima Arte e dell’arte culinaria

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Del resto quante volte per conquistare qualcuno/a si è passati per la gola. Quella raccontata in Il gusto delle cose è una di queste, con la preparazione delle ricette che diventa un meraviglioso gesto d’amore e una danza di corteggiamento. Un sentimento che dai fornelli si trasferisce nei piatti per poi giungere attraverso di essi diritto al cuore dell’amata. Ecco allora che il nuovo film di Trần Anh Hùng, del quale si erano perse le tracce dal poco convincente Éternité del 2016, è al contempo una dichiarazione d’amore nei confronti della cucina e del cinema stesso. Nelle mani del cineasta di Mỹ Tho le due arti si fondono in maniera armoniosa e poetica per dare vita a una miscela di classicismo romantico e immersione gastronomica in un sofisticato melò a sfondo culinario. Il tutto si riversa in un film sull’amore totale tra esseri umani, ma in primis per la cucina. Raramente abbiamo visto filmare in maniera così dettagliata il cibo (una di queste potrebbe essere Il pranzo di Babette) al punto da renderlo protagonista della scena, rubandola persino a una coppia di straordinari interpreti come Juliette Binoche e Benoît Magimel che erano dai tempi de I figli del secolo di Diane Kurys, vale a dire dal 1999, che non la dividevano. Le loro performance sono uno dei valori aggiunti della pellicola insieme alla fotografia di Jonathan Ricquebourg, pittorica nella sua confezione di magnetica bellezza che richiama visivamente negli interni la corrente fiamminga e in en plein air quella degli espressionisti.

Un valzer coreografato da una cinepresa che volteggia sinuosa attorno ai piatti e a chi li prepara, creando un flusso cinematografico e gastronomico che unisce estetica, eleganza e rigore formare

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La cucina, la preparazione e la consumazione dei piatti (curati dallo Chef stellato Pierre Gagnaire e dallo storico Patrick Rambourg) sono al centro dell’inquadratura e vengono portati sullo schermo grazie ad uno sguardo che è al contempo tecnicamente attento e sensorialmente partecipe. La prima mezz’ora in tal senso è un valzer letteralmente coreografato da una cinepresa che volteggia sinuosa attorno ai piatti e a chi li prepara, creando un flusso cinematografico che unisce estetica, eleganza e rigore formare, caratteristiche che fanno da sempre parte della cifra stilistica di Trần Anh Hùng. All’interno di questo layout, il regista passa da un primo piano estremo a un angolo più ampio, da un momento fluido a uno di stasi, in modo assolutamente sinuoso e modo molto musicale, accompagnato da una colonna sonora composta unicamente dal profluvio del frigolare dei grassi, del sobbollire dei brodi, delle salse e dei fondi di cottura, oltre che del rumore delle foglie scosse dal vento e del cinguettare degli uccelli. Poesia allo stato puro che si tramuta oltre che in un’esperienza filmica e al contempo sensoriale irresistibile che stuzzicherà sicuramente le papille gustative di affamati e buongustai. Le leccornie che si potranno ammirare sullo schermo e divorare con gli occhi saranno però anche una tortura per lo spettatore, costretto suo malgrado a guardare ma non ad assaggiare.

Il gusto delle cose: valutazione e conclusione     

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L’amore tra esseri umani e per la cucina sono al centro de Il gusto delle cose, un melò a sfondo gastronomico che prima di essere un’opera cinematografica è una vera e propria esperienza sensoriale. Trần Anh Hùng torna dietro la macchina da presa per raccontare e soprattutto mostrare una danza dei sensi e dei sentimenti, magnetica nel disegno pittorico delle immagini, elegante e rigorosa nella composizione estetica-formale. Il tutto impreziosito dalle performance di Juliette Binoche e Benoît Magimel.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 5
Recitazione - 4
Sonoro - 4.5
Emozione - 3.5

4.1