RomaFF14 – Il ladro di giorni: recensione
Guido Lombardi cerca di dirigere il dramma Il ladro di giorni, ma finisce per realizzare un'improvvisata commedia sui rapporti tra un padre e suo figlio.
Il rapporto con i padri. Il 2019 sembra sentirsi perso nelle individualità della vita contemporanea, staccandosi da quelle madri protagoniste di molti film, tornando a concentrarsi sulla cedevolezza di quegli uomini che hanno fatto in modo di metterci al mondo. Era il tema di uno dei film principali della Mostra del Cinema di Venezia, l’astronomico e interrogativo Ad Astra di James Gray, ed è l’apoteosi dell’auto-catarsi dell’interprete Shia LaBeouf che, per affrontare i traumi di un’infanzia da attore provetto con genitore ex-alcolizzato, indossa i panni da clown di suo padre e lo interpreta nel film Honey Boy a lui dedicato, che dopo il Sundance sceglie la Festa di Roma come finestra ufficiale per la sua presentazione italiana. Non unico titolo, però, ad avvalersi del bisogno di analisi e ricerca attorno ai rapporti con una figura così fondamentale; un genitore che, nella maturazione delle persone che saremo un domani, rischia di perdersi nella ricerca disperata di forme di vita umana nell’universo o nelle acrobazie da rodeo con addosso un costume da pagliaccio. C’è anche l’italiano Il ladro di giorni, che affronta sotto ulteriori aspetti la relazione padre-figlio alla Festa, nonché un’opera a cui il suo regista Guido Lombardi ha lavorato anche alla sceneggiatura, insieme ai collaboratori Luca De Benedittis e Marco Gianfreda.
Il ladro di giorni: il rapporto padre-figlio con Riccardo Scamarcio
Il ladro di giorni è il road movie che, come lo stile narrativo che contraddistingue questo genere, vede nel viaggio in macchina lungo i territori del Belpaese il momento di riconciliazione di un bambino rimasto a vivere per anni senza suo padre. Un ragazzino costretto a stare dai propri zii vista la condotta amorale dell’uomo, che non mancherà di dare spazio a quella parte criminale che, già una volta, gli aveva rovinato la vita.
Andato a prendere Salvo (Augusto Zazzaro) per portarlo con sé lungo una corsa in macchina di quattro giorni, Vincenzo (Riccardo Scamarcio) vuole utilizzare il figlio come protezione da possibili imprevisti, vista la consegna di una portata di cocaina che deve effettuare e che potrebbe rispedirlo un’altra volta in galera. Da un viaggio di convenienza alla restaurazione di un legame che sembrava essere impossibile da recuperare, giungendo fino a una rivelazione che potrebbe arrestare la foga di vendetta di Vincenzo.
Guido Lombardo voleva girare un dramma famigliare. Aveva il passato nella malavita del personaggio del padre, una madre morta di crepacuore, un figlio che con l’unico genitore rimastogli non voleva avere nulla a che fare e con cui si ritrova invece a dover trascorrere un viaggio a stretto contatto e, soprattutto, una vendetta che aspettava solo il momento di essere consumata. I presupposti c’erano tutti, è la vena tragica del regista a mancare. L’occhio drammatico che poteva conferire spessore all’opera, non certo priva delle sfumature affettive che volevano un avvicinamento tra genitore e bambino, ma dovendo cedere al compromesso di una dolcezza percepita all’interno di un incommensurabile disastro.
Il ladro di giorni: quando il dramma diventa inavvertitamente commedia
Di drammatico, infatti, Il ladro di giorni ha soltanto il tentativo di dare un tono alla propria narrazione, finendo a funzionare più come commedia improvvisata che reale instaurazione di un rapporto perduto negli anni, scivolando rovinosamente in territori che l’opera, forse, voleva solamente sfiorare, ma in cui finisce per ritrovarsi sommersa nella maniera più inevitabile. Non potendo nemmeno contare su un assetto ammirevole nel suo compartimento tecnico, con la fotografia indecorosa di Daria D’Antonio – non supportata, per sua sfortuna, dagli ambienti del film – e dal montaggio farraginoso di Marcello Saurino.
Prendendo la strada sbagliata per il percorso verso quella che, un tempo, era stata la loro casa, Il ladro di giorni difetta quasi quanto l’assenza del padre e il suo ritorno con annesse intenzioni. Un film che, con qualche aggiustamento, potrebbe definitivamente abbracciare la sua parte comica, riuscendo molto di più che nella sua forma originale.