Il maestro che promise il mare: recensione del film di Patricia Font
La recensione de Il maestro che promise il mare, il film per la regia di Patricia Font, al cinema dal 19 settembre 2024.
L’importanza del ricordo, il legame tra il passato ed il presente, l’insegnamento che, attraverso l’arte, passa dalla condivisione, dall’inclusione, dalla libera espressione di sé; Il maestro che promise il mare è il film diretto dalla regista spagnola Patricia Font, che racconta la vera storia di Antoni Benaiges, maestro di scuola elementare catalano vissuto nel pieno della guerra civile spagnola e scontratosi con il regime franchista a causa del proprio metodo d’insegnamento rivoluzionario. Tratto dal romanzo del 2013 Desenterrando el silencio. Antoni Benaiges, el maestro que prometió el mar, di Francesc Escribano, che ne ha poi curato anche la sceneggiatura assieme ad Albert Val, il film è stato presentato in anteprima mondiale alla Semana Internacional de Cine de Valladolid 2023 e ha successivamente ottenuto 5 candidature ai Premi Goya 2024, tra cui quella alla stessa sceneggiatura e quella all’attore protagonista Enric Auquer. Grazie alla produzione di Filmax e alla distribuzione italiana di Officine Ubu, la pellicola, al cinema a partire dal 19 settembre, viene proiettata in matinées dedicate agli studenti delle Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado di tutta Italia, a prezzo ridotto.
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Il maestro che promise il mare: l’insegnamento che sfida la repressione
Due linee temporali distanti corrono parallele per ricostruire la storia di Antoni Benaiges (Enric Auquer); da una parte vi è il passato (1934) che mostra l’arrivo del giovane insegnate alla scuola di Bañuelos de Bureba, piccola cittadina della provincia di Burgos dove, una volta fattosi accettare dai suoi alunni, egli riesce ad instaurare con loro un forte legame garantito dal nuovo metodo d’insegnamento, volto a garantire una maggior propensione allo scambio di idee, alla libera espressione di sé, allo sviluppo di uno spirito critico propositivo e di un interesse per il mondo circostante. L’intento didattico del maestro, ispirato a quello del pedagogo francese Célestin Freinet, fin da subito trova l’opposizione del sindaco e del parroco cittadino, emblemi di un’inclinazione politica a lui estremamente avversa e contraria alle ogni sua proposta, vista come estremamente anticonformista: dai libri interamente realizzati in classe dai suoi studenti, scritti di loro pungo e da loro stampati, sino alla promessa di portarli a vedere il mare, fino a quel momento solamente immaginato.
Nel presente (2010) vi è invece Ariadna (Laia Costa) che intraprende un lungo e frammentato viaggio per disvelare un passato a lei sconosciuto dopo che il nonno, afflitto da una grave demenza senile ed ormai prossimo alla morte, accenna per momento al ricordo della sua infanzia, vissuta in parte in compagnia dello stesso Benaiges, e all’incarcerazione e successiva sparizione di suo padre, il bisnonno di Ariadna probabilmente finito sepolto in una delle tante fosse comuni realizzate dal regime di Francisco Franco durante la guerra civile. La donna, in cerca di risposte che chiarifichino un passato per lei del tutto nebuloso, a 75 anni di distanza dagli eventi narrati in alternanza, cerca di ricostruire la storia del maestro, e conseguentemente della propria famiglia, attraverso i ricordi ed i racconti di chi lo aveva conosciuto.
Il dissotterramento del silenzio
“Il maestro che promise il mare affronta il tema della memoria storica in modo diretto e indiretto, intrecciando due storie” ha dichiarato la regista del film, che ha poi aggiunto “L’interazione tra le due trame trasmette un messaggio: ciò che accade nel passato si ripercuote sul nostro presente sotto forma di ferita transgenerazionale”.
La fondamentale importanza del ricordo è quindi posta al centro di questa duplice narrazione, che da una parte racconta e dall’altra mantiene quel racconto vivo, presente. Ci viene narrata una storia che sembra ergersi a baluardo di tante altre simili esperienze sotterrate dal silenzio, dalla dimenticanza, da quello stesso oblio a cui mirava il repressivo regime franchista nei confronti di tutti i suoi oppositori, di tutti coloro che non erano inclini al suo operato a suoi dettami. È la storia dello scontro tra la politica e l’educazione, tra la censura e la libertà, la storia di chi ha provato ad opporsi con coraggio e di resistere per salvare il pensiero altrui, ancora nella sua forma più acerba. L’importanza della cultura e di una conoscenza universale del mondo sgomitano per farsi spazio in menti tenute volutamente all’oscuro, chiuse in sé stesse, annebbiate come il ricordo di chi è stato causa di tutto questo.
Il maestro che promise il mare: valutazione e conclusione
C’è un presente che rafforza il passato, c’è la finzione dell’immaginaria storia di Ariadna che rafforza il reale racconto di Antoni, un dualismo continuo che vuole legare le due parti: il pubblico e la storia, non quella narrata ma quella esistita, una di quelle storie da divulgare, da raccontare e far vedere, a partire principalmente dalle scuole, ove lo studio è memoria e la conoscenza è necessità. Il plauso va quindi anzitutto a chi questa storia l’ha conosciuta e trasmessa e ci permette di viverla e condividerla, dall’autore del romanzo, Francesc Escribano, allo sceneggiatore Albert Val, giustamente candidato ai Premi Goya, per poi finire alla regista Patricia Font, in grado di amministrare perfettamente la portata del racconto senza mai essere invasiva e di sostenere la continua alternanza temporale, con un passato fotograficamente ricostruito in maniera attenta e sostenuto da un sonoro intelligente.
L’ultimo riconoscimento va poi a cui ha saputo indossare questo racconto e a mostrarlo con estrema vitalità, un Enric Auquer che ha saputo essere il maestro che tutti avremmo voluto, alla promesse del quale saremmo tutti dipesi con entusiasmo.
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