Il marchio del demonio: recensione del film Netflix
Diego Cohen gioca con il genere horror legato agli esorcismi dando un suo contributo originale, non sempre - però - con esiti felici
Dal 27 marzo nel catalogo Netflix, Il marchio del demonio è un film horror di produzione messicana, diretto da Diego Cohen. Il film si inserisce a pieno titolo nel sottogenere legato agli esorcismi e alle possessioni demoniache, con un occhio rivolto a Lovecraft e alla mitologia degli Antichi. Con un esito altalenante e diverse trovate visive di un certo impatto, il film si piazza leggermente al di sotto della media del genere, senza però deludere completamente lo spettatore.
Il marchio del demonio: una ricetta nota, con qualche pizzico di originalità
La storia raccontata da Diego Cohen è quella piuttosto classica dello spirito demoniaco di turno che abita nei corpi di giovani donne malcapitate e innocenti. In questo caso a subire l’orribile sventura è Camila De La Cueva (Arantza Ruiz), la figlia sexy e un po’ ribelle della filologa Cecilia (Lumi Cavazos).
Dopo una premessa piuttosto interessante sui rituali di esorcismo e sulle origini di quello che si rivelerà essere uno dei personaggi principali, Karl Nüni (Eivaut Rischen), infatti, il regista si concentra direttamente nella quotidianità di una famiglia messicana come tante altre. Il ritrovamento di un antico Necronomicon, portato a casa dalla filologa per essere studiato, provoca nella figlia degli strani cambiamenti apparentemente associati ad un brutto hangover. L’intuizione della sorella Fernanda (Nicolasa Ortíz Monasterio), che era con lei mentre sfogliavano l’insolito manoscritto, sposta – però – la diagnosi su ben altro. Così è coinvolto il prete esorcista Thomas (Eduardo Noriega) che riconosce subito che si ha a che fare con un caso di possessione, e anche bello grave.
In generale, Il marchio del demonio ha una trama che sfrutta tutti gli elementi tipici del genere, giocando sulla sensualità dell’indemoniata, il coraggio dell’esorcista (in questo caso sono due) e sullo scetticismo dei parenti, troppo immersi in una realtà razionale per credere al demonio. Di contro, alcuni aspetti denotano la volontà di Cohen di metterci un suo tocco personale, soprattutto per quel che riguarda la connotazione dei sacerdoti, che sono decisamente lontani dall’ideale di uomini pii e integerrimi. Eppure, nonostante i loro peccati e le loro frequenti cadute, saranno proprio loro, grazie al loro sacrificio a riportare tutto alla normalità.
Un film che rifugge la noia con gli eccessi
Consapevole di trattare una materia già diverse volte rimaneggiata da autori probabilmente più esperti di lui (non dimentichiamo il meraviglioso capostipite del genere, L’Esorcista di William Friedkin), Cohen si diverte a marchiare il film con alcune scene di grande impatto.
Dove non c’è raffinatezza di scrittura o di interpretazione (specialmente sul versante femminile), Cohen si concede alcune scene davvero crude, che daranno molta soddisfazione agli amanti dello splatter. La rappresentazione dell’indemoniato così ben fatta nella premessa (che promette molto, senza mantenere) si perde un po’ nella trattazione della vicenda principale. Eppure, l’impatto persiste nella scelta di mostrare un’implicazione non così frequente della possessione: il cannibalismo. In alcuni momenti di grande respiro estetico, in cui il regista si concede qualche rimando cristologico amabilmente blasfemo, gli indemoniati sono ritratti come bestie affamate, che si nutrono principalmente degli esseri umani. Questo si vede in maniera abbastanza dettagliata e scuote sulla poltrona lo spettatore, riacchiappandolo dalla noia di un film già visto.
Da un altro punto di vista, però, ciò che decolla nei momenti più spinti e espliciti si perde decisamente nel resto del film. Una recitazione poco accurata e una regia – tranne che per i suddetti momenti – poco personale, tendono a smantellare molto dell’impianto horror necessario a far paura. Né c’è credibilità nelle dinamiche familiari, né abbastanza profondità nel rapporto tra i due esorcisti, nonostante le stimolanti premesse narrative che caratterizzano i personaggi. Quando, poi, nel momento clou del film, l’esorcista posseduto Karl si scontra con il demone che risiede nel corpo di Camila, l’approssimazione della scena d’azione rende il tutto quasi ridicolo. Stesso discorso vale per gli effetti speciali, che tanto sono interessanti nei momenti splatter, tanto sono cheap in tutti gli altri.
In conclusione
Il marchio del demonio è un film che si ricorda per il coraggio di mostrare immagini esplicite, là dove il sottogenere sugli esorcismi gioca più su ciò che non si vede. Da questo punto di vista si distingue abbastanza dalla massa, virando a tal punto – però – da sbilanciarsi su altri aspetti. Come molta filmografia di genere, non si sforza di trovare un equilibrio, un’eleganza, certamente possibile (e auspicabile) anche quando si tratta di mostrare violenza e angoscia. Da guardare se si è appassionati del tema o se si vuole un brivido splatter quando meno lo si aspetta.