Il metodo di Phil Stutz: recensione del docu-film Netflix
L'attore e regista Jonah Hill si apre ad un racconto personale e autentico sulla (propria) salute mentale, dialogando con il suo celebre terapista Phil Stutz a cui dedica l'intero film. Su Netflix dal 14 novembre.
Su Netflix disponibile dal 14 novembre 2022, Il metodo di Phil Stutz arriva in streaming a pochi mesi dalla dichiarazione di Jonah Hill di non voler più promuovere i suoi film. La decisione arriva dalla volontà dell’attore di Wolf of Wall Street e Maniac di non sottoporsi più allo stress che accompagna le consuete apparizioni pubbliche che anticipano il rilascio di un film. Un’attività che per lungo tempo ha evidentemente accentuando il disturbo d’ansia con il quale convive fin dall’adolescenza, e che lo ha portato circa cinque anni fa a chiedere aiuto al celebre psichiatra Phil Stutz, figura chiave della sua rinascita a cui dedica il suo secondo lungometraggio da regista dopo Mid90.
Phil Stutz: il metodo della visualizzazione
Noto per aver fatto cambiare idea a molti scettici della psicoterapia e per aver lavorato con creativi e imprenditori di fama mondiale, Phil Stutz è apprezzato nel suo campo soprattutto per aver messo in pratica quelli che lui definisce “metodi“: delle visualizzazioni guidate in cui il paziente, chiudendo gli occhi, si lascia guidare dalla voce del terapista, facendo emergere sensazioni di benessere e consapevolezza, necessarie alla guarigione. Conscio di essere uno a cui quei metodi hanno attivamente funzionato, Jonah Hill ha fatto di quell’esperienza la volontà di trasmettere quelle tecniche apprese a chi non ne potesse avere accesso, puntando proprio sul suo medico il punto di vista della telecamera, accorgendosi tuttavia che senza la sua di vulnerabilità, l’idea di verità che tanto ricercava potesse venir meno.
Terapia dell’ascolto e necessaria vulnerabilità
Senza svelare come, infatti, il film di Hill inizia solo dopo mezz’ora a decostruire la consueta sessione terapeutica in qualcosa di più sincero e ficcante, generando una convivenza in dialogo fra la biografia del medico e quella del paziente che sino a un momento preciso difficilmente era riuscita ad articolarsi. La testimonianza personale, in particolare i dolori, i lutti e le “ombre” come le chiama Stutz stesso, toccando punti in comune fra medico e paziente, diventano nel documentario occasione per veicolare il messaggio principale che i protagonisti intendono far emergere più di tutti dal questo progetto, ovvero l’idea di fare del dolore l’occasione per motivarsi al miglioramento, al cogliere dall’inevitabilità del male la volontà a non fermarsi, apprezzando tutto ciò che di positivo è possibile cogliere.
Il metodo di Phil Stutz mette in dialogo due fragilità per mostrare quanto il dolore sia l’unica variabile che ci accomuna tutti
L’idea, dunque, di uscire dal “Labirinto” e attivare la propria “Energia Vitale”, diventano concetti che Stutz spiega con semplicità tramite piccole illustrazioni a mano dal tratto tremolante, visto il Parkinson di cui soffre da tempo, e caratterizzato da un pungente sarcasmo che spesso non riesce a placare. Il classico rapporto fra psicoterapista e cliente/paziente, o maestro e allievo, volente o nolente viene dunque azzerato, e nonostante a molti forse quelle tematiche possano risultare non particolarmente folgoranti o praticabili dal giorno alla notte, Il metodo di Phil Stutz riesce a schiudere, con apprezzabile onestà, uno spiraglio sul tema insormontabile della salute mentale, in particolare gli attacchi di panico, la bassa autostima generata dall’immagine del corpo, la perdita delle persone amate.
Spesso si dice che per un regista girare un particolare film sia stato come processare parte della propria esperienza umana, fare cioè di un trauma un’arte in grado al tempo stesso di immortalarlo e attraversarlo. Per Jonah Hill questo è forse il film più personale e autentico, a cui va riconosciuto l’eroismo di aprire sé stesso, anche se non del tutto ma è comprensibile, a un pubblico così ampio come quello di Netflix. Un vero e proprio atto di fede al potere del cinema, a cui affida un pezzo importante della sua identità. E ad un uomo, il suo terapista, a cui ha affidato invece il processo più complicato della propria vita. Oggi il suo punto di riferimento per cui, è evidente, prova un’affezione autentica che il film è in grado di trasmetterci.