Il migliore. Marco Pantani: recensione del documentario
Un ritratto intimo e privato che ci porta alla scoperta dell’uomo e di aspetti inediti. Dal 18 al 20 ottobre nelle sale con Nexo Digital.
Quando su di te e sulla tua storia sono stati versati litri e litri d’inchiostro, impressi metri e metri di pellicola, scritti decine di libri e di articoli, incise canzoni, realizzate pièce teatrali e prodotti film, riuscire a dare alla luce qualcosa di nuovo e di diverso è compito arduo. Se poi ti chiami Marco Pantani e la verità su di te e su ciò che ti è accaduto non è ancora stata scritta, allora il livello di difficoltà sale ulteriormente. Di “verità” o presunte tali ne sono state scritte e filmate molte, ma restano quelle dei singoli, perché l’unica e la sola sull’odissea dell’indimenticabile campione di ciclismo romagnolo ancora non è emersa. A questo si va ad aggiungere un altro elemento non da poco, che è la responsabilità di raccontarla quella storia e il farsene carico, in particolare quando il tuo nome e il tuo ricordo sono scolpiti in maniera indelebile nei cuori, nelle menti e nell’immaginario della gente e degli sportivi. Ed è da questi che il regista Paolo Santolini è voluto partire per disegnare sullo schermo una biografia del Pirata dal titolo Il migliore, distribuito nelle sale da Nexo Digital dal 18 al 20 ottobre 2021 in duecento copie.
Il migliore: il documentario di Santolini non vuole essere una celebrazione del mito, bensì un ritratto intimo e personale
Al contrario di quello che recita il titolo, il documentario di Santolini non vuole essere una celebrazione del mito, bensì un ritratto intimo e personale che offre allo spettatore una visione inedita e una prospettiva differente rispetto a quelle alle quali abbiamo assistito in questi anni. Piaccia o no, il merito dell’opera in questione sta proprio nell’esserci riuscita. Non a caso Tonina Pantani, la madre del Pirata, lo ha definito «il primo vero film su Marco», rispedendo al mittente i tentativi precedenti: dal tv movie Il Pirata – Marco Pantani di Claudio Bonivento al docu-film Giallo Pantani di Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli, passando per Il caso Pantani – L’omicidio di un campione di Domenico Ciolfi e Pantani – The accidental death of a cyclist di Jams Erskine. E come darle torto visto il risultato, con l’autore che ha trovato la chiave giusta per aprire il cassetto dei ricordi e per la prima volta la serratura della casa di Marco, sino a quel momento off limits per la macchina da presa e la penna di scrittori o giornalisti.
Il migliore sceglie di andare controcorrente, riavvolge il nastro del tempo, rimette l’uomo al centro del racconto
A differenza dei colleghi, Santolini epura dalla timeline la denuncia e l’inchiesta per focalizzare l’attenzione su altro, su quel qualcosa che nei tentativi precedenti era stato messo da parte. Il migliore sceglie di andare controcorrente, riavvolge il nastro del tempo, rimette l’uomo al centro del racconto, partendo dall’essenza, dalla sua Cesenatico, dai suoi affetti, quelli che non sono mai venuti meno, nemmeno dopo l’ennesimo infortunio e l’ingiusta sospensione per ematocrito alto al Giro d’Italia, quel maledetto 5 giugno del 1999 a Madonna di Campiglio. Una scelta, quella, di focalizzare l’attenzione su Marco e sulle sue radici che rappresenta il punto di forza di un controcampo umano, esistenziale ed emozionale che mancava all’appello e del quale si avvertiva l’assenza. Il documentario va a colmare tale mancanza e lo fa con una raccolta di testimonianze a parenti e amici, accompagnate da un collage di preziosi materiali d’archivio e da una colonna sonora made in Romagna.
Un ritratto autentico, realizzato in punta di cinepresa e al montaggio con grande cura
Ricordi, riflessioni, suoni, immagini di ieri e di oggi, raccolte in una Cesenatico coperta dalla neve e in alcuni luoghi che hanno fatto da cornice alla vita e alla carriera di Pantani, si trasformano nel tessuto narrativo di un’opera intensa, struggente, che tocca le corde del cuore senza scivolare mai nelle sabbie mobili della spettacolarizzazione e della retorica. Ne viene fuori un ritratto autentico, realizzato in punta di cinepresa e al montaggio con grande cura, che ci porta alla scoperta di una serie di aspetti poco conosciuti dell’essere umano e dell’atleta. Il ché conferisce all’operazione un senso e soprattutto un motivo per esistere, che è tutto tranne che scontato.