Il mio amico Tempesta: recensione del film
Zoè cresce tra i cavalli e sogna di diventare fantino, ma un terribile incidente la costringe a mettere da parte il suo progetto di vita. Fino a che non impara ad accogliere la sua diversità.
Nata in una stalla nello stesso momento in cui viene al mondo una puledra, figlia di una coppia affiatata e attenta – interpretata dagli straordinari Mélanie Laurent e Pio Marmaï in Il mio amico Tempesta: la rappresentazione realistica del loro ménage è la parte migliore del film –, Zoè fin da neonata si calma solo in presenza dei cavalli e, divenuta adolescente, ha ben chiaro che nella vita vorrà seguire le orme di suo padre e diventare a sua volta un fantino. Un grave incidente di cui resta vittima la costringe, però, a rivedere i suoi piani. Anzi no.
La fiaba di Zoè, fantina ‘interrotta’
Tratta da un graphic novel, Il mio amico Tempesta è la storia di un riscatto che passa attraverso il cambiamento di mentalità – la disabilità non può concepita come ostacolo, ma come occasione di fare le stesse cose in modo diverso –, il film del canadese Christian Duguay entra in una famiglia che ha costruito la sua vita all’interno e intorno a una scuderia, mostrando sì il rapporto che ciascuno dei suoi componenti intrattiene con i cavalli, ma senza tuttavia addentrarsi nelle frequenze di connessione tra umani ed equini. Il suo interesse principale si rivolge a questioni più quotidiane: la difficoltà dei due giovani genitori, madre veterinaria e padre fantino, a conciliare gestione domestica e rendimento dell’attività avviata, la tortuosa accettazione da parte della figlia Zoè delle conseguenze dell’incidente subìto.
Stupisce che siano i momenti di maggiore normalità a risultare più avvincenti mentre, nell’allontanarsi dalla grammatica iperrealista, quasi banale, il film frana: un errore ricorrere a due attrici diverse – Charlie Paulet prima, Carmen Kassovitz dopo – per rappresentare Zoè a distanza di pochi anni d’età ed è un errore sacrificare il taglio ordinario del racconto per aprirsi al fiabesco della rivalsa. La caratura degli attori scelti avrebbe permesso di tenere alta la tensione anche attraverso la rappresentazione di inconvenienti minori e di minori, meno eroiche risalite.
Il mio amico Tempesta: valutazione e conclusione
Il mio amico Tempesta si rivolge a un pubblico di famiglie presentando la vicenda di un sogno ‘calpestato’ e poi recuperato da parte di una ragazzina che impara a non piangersi addosso, grazie anche al sostegno di una famiglia comune, ma interessante per la plasticità emotiva dei soggetti che la compongono, un nucleo compatto, nonostante le differenze interne, che autori e registi rappresentano alle prese con la gestione della routine domestica, i saliscendi adrenalinici dell’attività agonistica e la necessità di contenere la sofferenza della figlia e di incoraggiare quest’ultima a non aggrapparvisi per anestetizzarsi.
Il film meritoriamente non azzera la complessità, per figlia e genitori, di un percorso d’accettazione della menomazione fisica e non aderisce ad alcuna retorica zuccherosa o tonificante di negazione del limite e del dolore di sapersi diversa. ‘Diversa’ da ciò che era prima, ‘diversa’ dagli altri. Le interpretazioni equilibrate, più inclini all’aspro che all’edulcorante, del cast, a servizio di una drammaturgia artigianalmente costruita e sapiente nei suoi ingranaggi, nobilitano un dettato che, nel finale, deflette verso una via di fuga tanto legittimamente risarcitoria quanto prevedibilmente tale, vanificando troppo presto la tensione fino a quel momento accumulata e mantenuta.
Il mio amico Tempesta è nelle sale 14 settembre 2023 con Eagle Pictures.