Il mistero scorre sul fiume: recensione del film di Shujun Wei

L’opera terza di Shujun Wei è una complessa e memorabile indagine sulle folli derive della psiche umana, sospesa tra dramma esistenziale e noir. Suggestioni di Bong Joon-ho e David Fincher.

Qual è il tuo caso Rebecca?”. Questa la domanda che l’angosciato e ormai anziano Detective Morell pone al giornalista investigativo Mikael Blomkvist, agli inizi della clamorosa e macabra indagine al centro di Uomini che odiano le donne, secondo adattamento cinematografico dell’omonimo bestseller di Stieg Larsson. David Fincher ancora una volta riflette sugli effetti e le conseguenze del male, o altrimenti dell’ombra capace di perseguitare e distruggere un’intera esistenza, sempre più devastata da incubi e allucinazioni, fino alla morte e al buio. Ripercorre la medesima traccia Shujun Wei, che giunto al suo terzo lungometraggio da regista con Il mistero scorre sul fiume, presentato in anteprima mondiale alla 76ª edizione del Festival di Cannes, nella sezione Un certain regard, guarda a Bong Joon-ho e Fincher, tra suggestioni hard boiled e thriller dell’anima. In sala da giovedì 11 luglio 2024, distribuzione a cura di Wanted Cinema.

Tre omicidi in cerca d’autore. Chi ha paura del pazzo? Chi della mente?

Il mistero scorre sul fiume: recensione del film di Shujun Wei

Anni ’90, Banpo, Cina Rurale. Qualcuno ha ucciso attorno alle acque del fiume locale. Il distretto di polizia passa nel corso di pochi minuti dal ping pong come esercizio per la mente, alla disperata ricerca di una soluzione per un macabro caso di omicidio, i cui esiti appaiono apparentemente evidenti allo spettatore, per poi complicarsi sempre più, intrecciandosi e confondendosi tra loro, dando inizio ad un complesso ed inquietante depistaggio che ci riconduce in breve tempo al cinema di David Lynch e come detto, a quello di Bong Joon-ho e David Fincher.

Se infatti le suggestioni stilistico/narrative di Il mistero scorre sul fiume sembrano far riferimento piuttosto esplicitamente all’indimenticabile Memorie di un assassino, è nella struttura temporale e nella questione relativa all’esplorazione dell’inconscio e dei suoi spettri, che Shujun Wei rintraccia una propria individualità e sincerità autoriale. Servendosi della matrice citazionista del suo terzo lungometraggio da regista, come semplice punto di passaggio, Wei raggiunge un ignoto così definitivamente cupo, angosciante e ai limiti dell’orrorifico da confondere lo spettatore, fino a ritrovarlo al termine dei titoli di coda, favorevolmente spaesato, oltreché spaventato. Molto di ciò che accade infatti, si struttura nella mente, cominciando sì nello spazio-tempo del reale, per poi mutare, assumendo un altro volto, assumendo un altro buio.  

Le piste sono molte e la voce registrata di una giovane donna non può far altro che complicarle ulteriormente. Serpeggiano dubbi e colpe mai realmente assolte, tanto legate ai traumi del passato, quanto ad una natura rispetto alla quale risulta impossibile fuggire, un po’ di coscienza e un po’ sessuale. Nel frattempo, tra tormenti e caos quotidiani, Ma Zhe (ottima l’interpretazione di Zhu Yilong), il giovane capo della polizia criminale, dirige le indagini, dando la caccia ad una donna – oppure al suo fantasma? – e poi ad un pazzo, che ci è permesso osservare e conoscere fin quasi dalla primissima sequenza, per poi perderlo, senza ritrovarlo più. Non fisicamente almeno, piuttosto nei luoghi dell’ignoto e della persecuzione per certi versi demoniaca e per altri tragicamente reale, destinata a sconvolgere per sempre l’esistenza di Ma Zhe, tanto da costringerlo a dubitare della sua stessa integrità e così del suo ruolo e scopo nel mondo.

Ad un primo corpo, se ne aggiungono ben presto altri due. Tre dunque gli omicidi in cerca d’autore, che sorprendentemente anziché stare al centro della narrazione di Il mistero scorre sul fiume, restano incessantemente ai margini, manipolando tutto ciò che è apparenza e ipotesi, fino al decisivo ribaltamento dei ruoli e delle certezze. Chi è il pazzo e chi invece il poliziotto? Qualcuno è stato ucciso, o è semplicemente frutto dell’immaginazione?
Se la paura è certa, la domanda che lo spettatore giunto fino a qui non può far altro che porsi è: chi temo di più? Il pazzo o la mente? Forse, la miglior risposta, è proprio la solitudine.

Il mistero scorre sul fiume: valutazione e conclusione

Figlio di un Raymond Chandler ancor più incupito, disilluso e orrendamente consapevole della fine della propria indagine ed esistenza, Il mistero scorre sul fiume riflette con sorprendente maturità, al pari di Memorie di un assassino, o quasi, sulla necessità di una soluzione, perfino a costo di una vita, pur di assolvere qualche colpa, pur di attenuare i conflitti interiori, tra demoni e persecutorie incertezze.

La pellicola 16mm restituisce alle atmosfere lugubri, piovose, cupe e amniotiche del film, una dimensione granulosa ed estremamente aderente alla realtà surreale di ciò che accade, spostando i confini del cinema del reale decisamente oltre. Eppure lo sappiamo bene, è finzione, è costruzione fittizia d’un impianto autoriale, ma questo ci basta? Forse, oppure al contrario ci spaventa ulteriormente, permettendoci di percepire appieno lo spirito perduto e tormentato di Ma Zhe, sospeso tra indagine personale e collettivo, realtà e onirismo ignoto.

A partire poi da una riflessione sul cinema di genere, condotta da Wei attraverso gli stilemi e i linguaggi propri dell’hard boiled, del noir e del thriller, Il mistero scorre sul fiume si fa ben presto documento sociale su di un periodo storico ed un tradizionalismo, certamente inusuali, eppure sempre più contaminati dalla cinematografia occidentale, su tutte quella statunitense. Si pensi dunque ad una nuova forma cinema, capace di risultare personale e profondamente radicata in un nazionalismo immediatamente riconoscibile, poiché glorioso e patriottico, e al tempo stesso debitrice e rispettosa nei confronti delle sue più dirette e apprezzate suggestioni, sempre o quasi frutto di una cinematografia occidentale sospesa tra generi e topos narrativi.

Il terzo lungometraggio da regista di Wei infatti, non è soltanto un thriller, né tantomeno un semplice dramma sociale o un noir. Piuttosto un’opera atipica, all’interno della quale tensione e oscurità, sempre più in crescita, appartengono quasi esclusivamente alle fantasmatiche presenze e allucinazioni della mente, avanzando inesorabilmente verso il raggiungimento della follia e la messa in discussione di ciò che gli occhi fino a pochi attimi prima hanno osservato e registrato.

Basti pensare al luogo nel quale l’indagine viene condotta e analizzata, una antica sala cinema, che si fa improvvisamente rivelatrice di una soluzione inspiegabile, capace di penetrare nella dimensione inconscia del sogno, pur sempre attraverso lo schermo. Interessante di qui in poi la riflessione meta-cinematografica che senz’altro Shujun Wei conduce, rendendo partecipi loro (la squadra di polizia) e noi (spettatori).

Non ci sono risposte semplici, né soluzioni complessive. Preparatevi a confondervi, perdervi, spaventarvi e infine illudervi d’esservi ritrovati, pur sapendo che così non è stato e forse mai sarà. Un viaggio ai bordi dell’abisso dai tempi dilatati, dove gli indagatori finiscono per indagarsi.
Il mistero scorre sul fiume è uno dei migliori film del cinema cinese ultimo ed è al cinema a partire da giovedì 11 luglio 2024, distribuzione a cura di Wanted Cinema.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4