Il muto di Gallura: recensione del film esordio di Matteo Fresi con Andrea Arcangeli
Dal 31 marzo nei cinema, Il muto di Gallura è mix interessante di western e romanzo storico.
Tramonti color pastello, tinti di rosa e azzurro, incorniciano la Sardegna di metà ottocento in una storia a cavallo tra mito e leggenda. L’immaginario popolare si mescola con la realtà, in un abbraccio senza fine. Il muto di Gallura attinge dall’omonimo romanzo di Enrico Costa, per poi creare qualcosa di unico. Matteo Fresi, qui alla sua opera prima, ben intende il concetto di adattamento, e dalla forma scritta passa ad una narrazione moderna. Durante la visione incontriamo diversi generi e citazioni western. Quest’ultimo è forse l’aspetto più caratteristico dell’opera, ma ad esso si aggiunge la tragedia cavalleresca e gli stilemi del fantasy.
Il muto di Gallura si presenta come un ritratto storico della Sardegna, andando però oltre la mera rappresentazione etnografica dell’isola. Non è semplice per il cinema nostrano allontanarsi dalla commedia all’italiana che, come il prezzemolo, fa capolino in ogni produzione. Il film di Fresi si allontana da una certa volontà di mercato satura e stantia per dare forma a qualcosa di personale, intimo. La tradizione, vocalismi e costumi ritornano in una storia che dell’identità fa il proprio marchio di fabbrica. A farla da padrone è il rapporto tra regia e fotografia, in grado di portarci a braccetto nell’entroterra sardo, in quella macchia mediterranea macchiata dal sangue, solcata da proiettili e vecchi rancori. Il muto di Gallura, una produzione Fandango e Rai Cinema, viene distribuito nei cinema sardi dal 24 marzo, mentre nel resto d’Italia arriverà il 31 marzo.
Il muto di Gallura e la leggenda di Bastiano Tansu
La storia vera de Il muto di Gallura prende vita nella Aggius di metà ottocento, comprendo un arco temporale molto ampio. La storia ha per protagonista Bastiano Tansu (Andrea Arcangeli), un ragazzo sordomuto di nascita, emarginato dalla comunità e quasi temuto come creatura del demonio. È una vita ai margini quella di Bastiano, costretto ad osservare il mondo da lontano, mentre coloro che conosce e ama si costruiscono un futuro. Ma l’idillio, la speranza di pace e prosperità finirà presto, perché alla nascita della faida tra la famiglia Vasa e quella dei Mamia e Pileri il sangue coprirà la nuda terra.
Bastiano diverrà l’arma letale dei Vasa, il mostro, il muto che vive nella foresta dell’inferno, pronto ad uccidere donne, uomini e bambini. Il mito prende così vita, l’uomo nero di Sardegna terrorizza i piccoli nell’oscurità e gli adulti di giorno. L’emarginato, il freak si tramuta in carnefice in una guerra di sei anni. Ma anche i mostri possono conoscere l’amore, e Bastiano lo troverà con Gavina (Syama Rayner). Ma, come nelle migliori tragedie, non tutto andrà per il verso giusto. L’onore, la gelosia e il tradimento faranno capolino ancora una volta in un terra che ne ha visto abbastanza di morti sotto gli alberi.
Dalla lingua sarda alla storia d’amore con la bellissima Gavina
Il primo aspetto degno di nota è l’utilizzo della lingua sarda (il film è sottotitolato) come mezzo di espressione dei personaggi. La parola, come le immagini, determinano il contesto storico quanto culturale e sociale di un luogo. La scelta di far parlare in algese protagonisti e comprimari si è dimostrata però un’arma a doppio taglio per Il muto di Gallura. Da una parte abbiamo la creazione di un immaginario, e la lingua ne è il fulcro primario. Dall’altra, ciò che sembra risentire è la qualità recitativa del film, più vicina ad una forma teatrale che cinematografica. Non tutto il cast sembra lavorare sullo stesso piano, tuttavia tale aspetto non sembra minare la gradevolezza della visione. Infatti, va riconosciuto a Matteo Fresi il pregio di portare sul grande schermo qualcosa di praticamente inedito nel panorama cinematografico nostrano.
Parlavamo di recitazione, e Andrea Arcangeli non è nuovo al genere, basti pensare al suo Yemos in Romulus. La differenza è che qui interpreta un personaggio sordomuto, isolato ed emarginato. L’attore lavora per sottrazione, rimuove per aggiungere. Lo sguardo e i piccoli gesti giocano un ruolo di predominanza, gli occhi si fanno parola. Eppure, Bastiano Tansu acquista carisma quando è in compagnia di Gavina, interpretata dall’esordiente Syama Rayner. L’attrice riesce a cogliere l’innocenza del proprio personaggio, una ragazza che in Bastiano non vede un mostro ma un uomo. Una scena in particolare, ripresa in modo intelligente e suggestivo, riesce a restituire tutta la profondità del loro rapporto. La natura incontaminata immortala qualcosa di puro e ancestrale. I due amanti nella loro nudità incarnano un sentimento che va al di là dei costumi e delle usanze.
Il muto di Gallura e la costruzione di outsiders in un mondo di banditi
Non tutto è perfetto ne Il muto di Gallura, a risentirne è anche il montaggio sonoro. Se le immagini ci raccontano qualcosa, il suono si zittisce come il suo protagonista. I suoni della terra, del vento e della fauna sarda sono silenti, non parlano. È l’elemento che ci fa storcere maggiormente il naso, ma viene compensato da una scenografia e da costumi ben realizzati. La tradizione sarda incontra il western e i Pirati dei Caraibi di Gore Verbinski. Ampie camicie bianche, fasce rosse e pistole sulla vita. I colori tradizionali della Sardegna, come le sue trame e i suoi intarsi lampeggiano come luci al neon nei costumi. Quest’ultimi sono eterogenei, diversi per ogni personaggio. Non si avverte mai un senso di omologazione, di creazione con lo stompino. Ognuno dei protagonisti è diverso dall’altro, dalla regalità di Pietro all’aspetto trasandato di Bastiano.
Tradizione e mito (cinematografico) si intrecciano e creano qualcosa di unico: l’identità, del film quanto della storia. È la storia di un outsiders, tema caro anche alla narrazione di Gabriele Mainetti, basti pensare al suo ultimo Freaks Out. I due registi sembrano condividere una certa volontà di racconto, svincolata dalla legge del mercato italiano. Il racconto dell’emarginato che trova voce con le azioni, giuste o sbagliate. Bastiano incarna ciò che compaesani volevano da lui, ma in realtà agogna la libertà e l’amore. Vorrebbe esser parte integrante di quella stessa società che prima lo ha emarginato e poi sfruttato, facendo di lui un esempio, il mostro nell’oscurità. La deformità, l’handicap raccontati attraverso lo stereotipo dell’epoca, e in alcuni casi d’oggi. Il muto di Gallura con la sua storia di banditi, gendarmi e luoghi mistici fuoriesce dallo standard e ci fa dono della “stravaganza”.