Il più bel secolo della mia vita: recensione del film con Sergio Castellitto e Valerio Lundini
Un film che racconta la storia di due “fratelli di culla” e che parla di identità, di radici e appartenenza
Presentato in anteprima assoluta al 53esimo Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18, Il più bel secolo della mia vita, diretto da Alessandro Bardani, vede protagonista una coppia inedita composta dai Valerio Lundini e Sergio Castellitto. Il film arriverà in sala dal 7 settembre 2023 distribuito da Lucky Red. Nel cast anche Carla Signoris, Antonio Zavatteri, Elena Lander, Marzio El Moety, Betti Pedrazzi e la partecipazione di Sandra Milo.
Un’assurda legge ancora in vigore in Italia permette ai figli non riconosciuti alla nascita di sapere chi sono i genitori solo dopo il centesimo anno di età. Giovanni è uno di questi e per riuscire ad attirare l’attenzione sul problema e attivarsi per cambiare la legge ripone la sua unica speranza in Gustavo, unico centenario in vita non riconosciuto alla nascita. Il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma che sembra non aver alcun interesse a farlo.
Il più bel secolo della mia vita – Un inno alla vita, tra Il sorpasso e Profumo di donna
Nel prologo di Il più bel secolo della mia vita in un bellissimo bianco e nero vediamo un bambino trascinare a fatica una grossa croce, croce che metaforicamente si porterà appresso per tutta la vita: si tratta proprio di Gustavo da piccolo, cresciuto in orfanotrofio, che ha sempre desiderato scoprire l’identità di sua madre, cosa che gli è stata impedita, almeno fino a oggi che ha 100 anni. È l’incipit di un film che raccontando la storia di due “fratelli di culla”, come vengono definiti gli orfani, parla di identità, di radici, di appartenenza. Ma attenzione, non ci troviamo di fronte alla solita commedia stucchevole senza guizzi, ma a un film che con umorismo tagliente e scorretto ci conduce con i due protagonisti, Giovanni e Gustavo, in un viaggio esilarante ma esistenziale, ricco di colpi di scena e di momenti clamorosi. La fa da padrone Sergio Castellitto, in un trucco prostetico realistico in maniera impressionante, perfetto nei panni di un centenario nella voce, nei movimenti, nei più piccoli tremolii tipici di una persona molto anziana, una prova straordinaria che supera le sue tante ottime interpretazioni, dal recente D’Annunzio ne Il cattivo poeta all’Ernesto di L’ora di religione di Marco Bellocchio, solo per citarne alcune, restituendo un personaggio caustico, divertente, memorabile, che rimanda alla mente molti protagonisti della migliore commedia all’italiana. Lo stesso film fa ripensare a Il sorpasso di Dino Risi con i due protagonisti agli antipodi e on the road, uno quieto, poco incline a “vivere” davvero, l’altro che la vita l’ha divorata, e ripensa con nostalgia all’amore, alla libertà, ai tempi felici, quelli vissuti nel periodo della dolce vita nei locali di Via Veneto a Roma. “Perché vuoi che faccia queste cose?”, gli chiede Giovanni quando Gustavo lo sprona in malo modo a chiedere a una bella cameriera il numero di telefono, “Perché io non posso più farle”, gli risponde l’anziano con un velo di malinconia che ogni tanto traspare dai suoi occhi tra una battuta sagace e l’altra.
Lundini e Castellitto, una coppia che funziona
Una coppia inedita e che funziona quella composta da Valerio Lundini, uno dei più brillanti giovani comici italiani, consacrato dal programma Una pezza di Lundini, e da un “veterano” come Sergio Castellitto, il primo pienamente in parte che schiva il pericolo di ripetere il suo personaggio televisivo, il secondo nei panni di un anziano burbero, sempre sarcastico, capace di grandi perle di saggezza, un vero mattatore, che nasconde dietro la scorza dura una grande sensibilità. “Come si dice oggi, sei binario? Vai a vela a motore”, dice a Giovanni cercando di carpire qualcosa sulla sua vita privata in uno dei tanti momenti divertenti del film.
Scritto dallo stesso Alessandro Bardani con Luigi Di Capua, Il più bel secolo della mia vita seguendo gli stilemi della commedia d’autore raggiunge picchi altissimi anche nei momenti più intensi e drammatici, accendendo i riflettori su una legge poco conosciuta in Italia, anacronistica e ingiusta. “Se una persona non sa da dove viene è incompleta”, afferma Giovanni, aprendo a una riflessione profonda su temi attuali come l’affermazione della propria identità, ma anche le famiglie di fatto spostando quindi l’attenzione sull’importanza di chi cresce e ama i figli, che non è per forza chi li mette al mondo, come sottolinea Gustavo che per tutti gli anni dell’orfanotrofio ha aspettato invano che la madre lo portasse via da lì, e che non ha avuto le sue carezze, la sua protezione, il suo amore, ma solo le angherie delle suore.
Il più bel secolo della mia vita: valutazione e conclusione
Tra malinconia, tenerezza e risate di cuore e momenti tragicomici, come nella scena girata in un vigneto in cui Giovanni aiuta Gustavo a minzionare, il film di Bardani riesce nell’impresa di non scadere mai nella retorica, di emozionare senza essere ricattatorio, e di raccontare la parabola di due “fratelli di culla” che diventa universale, un inno alla vita, quella che Gustavo ha vissuto in pieno e dalla quale Giovanni sembra nascondersi per paura, bisognoso di quella miccia che forse solo l’anziano può accendere in lui. Un po’ come succedeva in Profumo di donna di Martin Brest, con Al Pacino e Chris O’ Donnell, in cui il giovane imparava a vivere dopo le tante peripezie vissute insieme al cinico colonello Slade, che Il più bel secolo della mia vita non si sa quanto inconsapevolmente omaggia, più dell’originale diretto da Dino Risi. “Avere 20 anni o 100 non cambia poi mica tanto se non riesci a vivere la vita com’è” canta Brunori Sas nel bellissimo inedito La vita com’è composto per la colonna sonora del film, che sintetizza nel modo peculiare e poetico del cantautore calabrese il senso profondo del film.