Venezia 73 – Il più grande sogno: recensione del film di Michele Vannucci
Michele Vannucci e il “suo grande sogno”. Presentato – nella categoria Orizzonti alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il più grande sogno focalizza l’attenzione sul “riempimento concettuale ed esistenziale” di un singolo, determinato a lasciarsi alle spalle un passato burrascoso e del tutto dimenticabile.
Attraverso questa linea di moralità ben ponderata, utile tra l’altro a sollecitare lo spettatore, Vannucci cerca di “sgrassare” una ben definita entità malevola al suo personaggio, nel tentativo di redimerlo ma soprattutto di “purificarlo” totalmente nella sua interezza.
Servendosi di un progressismo razionalizzato, Il più grande sogno cerca di abbattere ogni forma di tendenziosità ed ogni forma d’indifferenza collettiva nel tentativo di “generare”, attraverso una valida narrazione, una comunità che si fonda sull’aiuto reciproco e sullo spirito d’amor proprio. Un’accettazione dettata da un’esperienza tormentata, su tutti quella del protagonista, che riesce a scardinare un’ideologia sbagliata dalla mente di un individuo che paradossalmente si identifica come padre spirituale di una ruvida e difficile borgata.
Questo procedimento ideologico, forse utopistico, viene giustificato dalla voglia di conseguire un rasserenamento esistenziale ben chiaro. Un sogno se vogliamo irrazionale che però “regala” – senza illudere – un futuro migliore ai cosiddetti “reietti della bassa borghesia”, dimenticati e demotivati, che hanno sempre visto il cambiamento – drastico – come una forma surrealista del tutto impercorribile.
La speranza è ultima a morire
Vannucci con questa sua opera non scade in un populismo da “retro-bottega”, anzi con una conduzione stilistica ben determinata, mostra una cruda realtà contemporanea, da sempre difficile da trattare e da capire. Tutto questo viene ottimizzato e ben rappresentato dall’interpretazione sensibilizzante – e sensibilizzata – di un poderoso Mirko Frezza, audace nel rappresentare a pieno lo stile di vita di chi da sempre viene inteso come soggetto del tutto evitabile, ma che cela in sé quello spirito di rivalsa che non può essere ignorato. Ad affiancarlo un valevole cast di attori – su tutti Alessandro Borghi e Vittorio Viviani.
La necessità di voler addentrarsi in questo “sogno” introspettivo – che clamorosamente diventa estensivo – è il punto di forza de Il più grande sogno
Con una semplicità registica, Vannucci centra l’obbiettivo sprigionando un’incisività tale da coinvolgere emotivamente il pubblico spettatore; enfatizzandone il connotato. Il regista richiama l’attenzione di tutti, oltrepassando l’omologazione sociale in ogni sua forma. Senza retorica alcuna viene marcata una presa di posizione chiara, che senza mezzi termini tenta di conseguire il “traguardo” tanto agognato.
Funzionale anche la fotografia, che a suo modo intensifica gli stati d’animo dei protagonisti presentati, incentivandone l’efficacia sullo spettatore. Un sollecito riuscito, dunque, con questo “slogan nel non mollare mai” sempre e comunque.
Fuga dal passato
La capacità di Vannucci di far trasparire questa ossessionata fuga dal passato nel miglior modo possibile è il miglior connotato de Il più grande sogno; aspettative e belle speranze sono gli elementi benevoli utili a solleticare le concezioni ideologiche sia dei protagonisti – come ribadito in precedenza – sia del pubblico.
“Il futuro può essere cambiato” e Vannucci con questa sua opera cerca di comunicare tale messaggio.
La rassegnazione non credendo in se stessi è la peggior forma di esistenza possibile; Il più grande sogno denuncia tale concetto di vita scongiurandone ogni sua forma o rappresentazione. Credere nel proprio “valore umano” è l’unica cosa che conta in questo lavoro cinematografico, e Vannucci senza mezzi termini lo evidenzia, minuto dopo minuto.
Il film è scritto e diretto da Michele Vannucci. Prodotto dalla Kino Produzioni, vede nel cast Mirko Frezza, Alessandro Borghi, Vittorio Viviani, Milena Mancini, Ivana Lotito, Ginevra De Carolis.