Il Principe di Melchiorre Gioia – Una storia inutile: recensione del film di Andrea Castoldi
La recensione del quarto lungometraggio indipendente del regista brianzolo, che stavolta ci catapulta senza rete di protezione nella vita di un loser nella Milano di ieri e di oggi. Nei cinema dal 27 ottobre 2022.
Nel panorama odierno del cinema indipendente battente bandiera tricolore c’è tutto un sottobosco dalla critica e dagli addetti ai lavori ancora inesplorato, o esplorato solo in parte, nel quale si muovono registi davvero molto interessanti, che con i loro film hanno saputo ritagliarsi una nicchia più o meno larga di pubblico. Tra questi figura il brianzolo Andrea Castoldi, la cui ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Il Principe di Melchiorre Gioia – Una storia inutile è attesa da un lungo e speriamo fortunato tour che la porterà in giro per lo Stivale da Nord a Sud, a partire dal 27 ottobre 2022. Una fatica nel vero senso della parola, dato il tempo che ci è voluto per portarla a termine. Ma la cosa non ci sorprende, poiché si tratta di un autore che negli anni ha dimostrato di avere il pelo sullo stomaco, scegliendo di fare piuttosto che occupare il tempo a lamentarsi della mancanza di questo o quest’altro, a cominciare dalla possibilità di disporre di budget più o meno considerevoli. Nel suo caso si ha sempre avuta la sensazione di trovarsi al cospetto di un artista che ci crede e che crede profondamente in ciò che fa, sostenendo la creazione audiovisiva di turno dalla fase di concepimento a tutto il resto della sua vita in sala. Un approccio che, al di là dei risultati che possono piacere oppure no, andrebbe preso a modello e seguito da tante figure che operano nel suo stesso campo.
Al suo quarto film, con Il Principe di Melchiorre Gioia, Andrea Castoldi firma un’opera fresca, sincera e genuina
Il regista monzese ha fatto in modo che la condizione di indipendenza, anche se imposta dal mercato o dalla mancanza di occasioni, diventasse una scelta consapevole e soprattutto libera, come libero è il suo modo approcciarsi alla Settima Arte, di pensare storie e personaggi, per poi tramutare il tutto in immagini, suoni e parole. Il suo è un cinema che ha saputo con caparbietà, spirito di adattamento e coraggio, sfuggire dalle sabbie mobili dell’immobilità forzata ed evadere dalle gabbie per andarsi a cercare autonomamente, lontano dalle logiche e dalle regole non scritte dei grandi circuiti produttivi e distributivi, opportunità di visibilità per arrivare a più spettatori possibili. Sin dal primo lungometraggio Ti si legge in faccia, ai successivi Vista Mare e Non si può morire ballando, la modalità produttiva low budget e quella distributiva autonoma ne hanno caratterizzato e segnato il percorso artistico e professionale. Un percorso che ha fatto di necessità virtù e che ritroviamo anche nel quarto tassello della sua filmografia sulla lunga distanza, il già citato Il Principe di Melchiorre Gioia. Opera anch’essa fresca, sincera e genuina, con qualche sbavatura tecnica e narrativa a minarne l’architettura complessiva soprattutto nelle fasi iniziali, ma che non ne pregiudicano in maniera irreversibile il cammino successivo. Una volta ingranata la marcia giusta e sciolto l’imbarazzo dei primi minuti, nei quali il film, la storia e il protagonista che la anima, arrancano e lasciano che nella mente dello spettatore si materializzi il presagio di un buco nell’acqua, la scrittura e la regia cambiano passo.
Il Principe di Melchiorre Gioia, dopo le incertezze dei primi minuti, aggiusta il tiro e trascina la platea nella divertente e tragicomica vita di un loser realmente esistito
Ispirandosi a fatti realmente accaduti e soprattutto a un personaggio reale, Il Principe di Melchiorre Gioia, dopo le incertezze dei primi minuti, aggiusta il tiro e trascina la platea nella divertente e tragicomica vita di un uomo che ha fatto degli eccessi in gioventù e del suo essere un eterno Peter Pan il leit motiv di un’esistenza. Tecnicamente si tratterrebbe di un biopic, essendo incentrato sulla vita e sulle vicissitudini di un uomo realmente esistito, ma Castoldi con la complicità di Silvio Cavallo che lo interpreta sullo schermo replicandone quasi fedelmente tic, atteggiamenti e movenze, ne fanno un personaggio quasi cartoonesco che nonostante tutto arriva persino a starti simpatico. La verità di ciò che è stato viene filtrata e romanzata per fornire al regista la materia prima per cucire un omaggio ai losers, a quei perdenti per indole e per scelta che ci provano senza mai riuscirci. Figure che normalmente vengono messe ai margini della Storia, che non vengono raccontate perché non hanno lasciato tracce del loro passaggio e non vi hanno contribuito in nessun modo. Eppure ce ne sono tanti e il protagonista in questione è parte di un esercito di dimenticati. Castoldi lo prende in custodia e ci porta nel suo mondo, quello di un quartiere al limite, che collega la periferia con il centro della città meneghina, popolato da schegge impazzite scaraventate come biglie nel flipper della vita, come l’amico del cuore feticista. Per farlo sceglie una doppia linea temporale, mostrandocelo nel prima e nell’ora. Lo pedina palleggiando in un presente che lo vede cinquantenne, disoccupato e affetto da una svogliatezza cronica, che si arrabatta senza troppo impegno con lavoretti di volantinaggio che lo conducono nei luoghi e nei ricordi dei bagordi di un tempo, quelli del 1998, quando Il Principe nella sua beata gioventù bazzicava tutto agghindato per le vie della perdizione notturna a buon mercato della Milano non da bere accessibile a tutti.
Il Principe di Melchiorre Gioia è un viaggio nel tempo nella Milano di ieri e di oggi
La pellicola ci trascina nella Milano di ieri e di oggi, che nel frattempo si è lasciato dietro tanti come il Principe, vale a dire tutti quelli che, in una società fondata su obiettivi da raggiungere e risultati da ottenere, hanno finito con l’essere professionisti della sconfitta, o meglio antieroi predestinati. Cosa che non ha voluto fare Castoldi nel suo Il Principe di Melchiorre Gioia, mostrandoci che la società stessa non è fatta solo di eroi, ma anche di persone comuni che non hanno fatto necessariamente qualcosa di speciale nella loro vita se non viverla al massimo, secondo le regole non scritte.