Il profumiere: recensione del thriller poliziesco Netflix
La recensione de Il profumiere, il thriller poliziesco Netflix per la regia di Nils Willbrandt, disponibile dal 21 settembre 2022.
“Gli odori sono sensazioni“, afferma la voce narrante della pellicola, ma a naso avevamo già percepito che Il profumiere che si presenta come un film “piscologico, giallo e da brividi“, disponibile su Netflix dal 21 settembre 2022, ci avrebbe fatto perdere un’ora e trentasei minuti del nostro tempo! Nel thriller poliziesco diretto da Nils Willbrandt, liberamente ispirato alle tematiche del best seller di Patrick Suskind Profumo. La storia di un assassino, i protagonisti sono incapaci di vivere il proprio tempo. Una detective e un giovane profumiere dall’allure romantica – una persona stramba, un po’ troppo tocca di cervello – hanno in comune un’infanzia difficile e l’ossessione per l’amore: Sunny e Dorian non riescono a prescindere da una boccetta di essenze opportunamente dosate, si incontrano e scontrano in una storia in cui si prova a tradurre l’amore con formule scientifiche (immaginando e ipotizzando numeri), e finiscono per creare – più o meno ingenuamente – solo alchimie/effimere attrazioni.
Il profumiere: Dorian vuole creare qualcosa di impossibile, che riesca a superare la volontà umana: un profumo d’amore
In questo lungometraggio che vede Emilia Schüle nei panni della detective e Ludwig Simon nel ruolo del profumiere Dorian, Willbrandt privilegia un taglio fotografico emozionale e prova a tracciare numerosi percorsi senza seguirne alcuno: con il ritmo veloce e la costruzione della storia si cerca di far prevalere la componente emotiva dei personaggi. Il protagonista è Dorian, il giovane che “impara a preservare lo spirito fugace delle cose: il loro profumo”, ma è anche colui che sostanzialmente usa metodi mortali per i suoi esperimenti. È convinto di essere vicino alla formula giusta e vuole creare qualcosa di impossibile, che riesca a superare la volontà umana: un profumo d’amore. È disposto a tutto per raggiungere il suo scopo, e con l’aiuto di una complice inizia ad assassinare giovani donne. Le sue incisioni sui corpi delle vittime sono mirate: capelli e pelle – il profumo umano e il feromone che contiene. Sunny, che è una detective della polizia, si mette sulla pista di Dorian. Ma durante un’irruzione nel suo laboratorio trova e trafuga di nascosto uno dei suoi flaconi sperimentali. Dopo tanti anni, la donna torna a vivere emozioni mai sopite. Sfrutta per scopi personali la magica essenza creata dal profumiere, poi finisce per allearsi con il criminale.
Un thriller che evapora rapidamente… come una fragranza di bassa qualità
Insieme ad altri pochi lampi, i frame iniziali sono intriganti. La prima inquadratura de Il profumiere ci ha ricordato la celebre Ophelia dipinta da John Everett Millais, appena caduta nel ruscello, distesa a pelo d’acqua, con le mani aperte, mentre i suoi fiori si disperdono. Peccato, perché dopo cinque minuti abbiamo assistito a un altro film. I fiori della giovane hanno lasciato spazio ai vuoti narrativi, a inquadrature brutte da rabbrividire (Sunny si avvicina al figlio immaginato come se stesse per girare una scena di sesso), a un thriller mediocre che, come una fragranza di bassa qualità, evapora insieme al desiderio dei protagonisti – destinato a rimanere irrealizzato – di rintracciare l’equazione che regola l’amore: un sentimento che richiede una scienza diversa dalla matematica, “una scienza a parte”. Ma anche il cast principale non funziona: mentre Ludwig Simon riesce a trasmetterci lo stato d’animo tormentato del suo personaggio; con un volto scavato dall’angoscia, Emilia Schüle prova a sfoggiare senza risultato il “super potere” della monoespressione. Per tutte queste ragioni, il lungometraggio che si è fatto apprezzare esclusivamente per la ricostruzione minuziosa delle ambientazioni, per la fotografia e per qualche linea narrativa mystery che spunta nella seconda tranche, conferma lo stile scialbo di Nils Willbrandt e non riesce a lasciare il segno.