Il punto di rugiada: recensione del film di Marco Risi
Un film da abbracciare con tutto l'affetto di cui si è umanamente capaci. Un'opera che vive di contrasti e che vi scalderà il cuore. Il Punto di rugiada è al cinema dal 18 gennaio 2024.
C’è una delicatezza intensa e disarmante, ne Il punto di rugiada di Marco Risi, una tenerezza che fa sopraggiungere agli occhi lacrime di gioia, che unisce il giovane col vecchio, il passato col presente; e colora di senso anche le stanze vuote di memoria, piene di cicatrici e sogni infranti, di amori da rammendare e note da stonare.
Il punto di rugiada è un grido di poesia ovattato dalla neve, un film che ci trascina in un tempo etereo, tra corpi decadenti ed esistenze decadute in mezzo alle quali si fa largo un raggio di sole, uno spaccato di libertà che parte dal suo opposto, ovvero dall’obbligo di scontare una pena presso una casa di riposo inflitto a Carlo (Alessandro Fella), un ragazzo arrogante e viziato, che perde i suoi giorni con gli amici, tra discoteche, alcol e droghe, deridendo quei vecchietti con i quali si troverà a contatto.
Ad aggravare la sua situazione legale, il fatto di aver sfregiato la ragazza che viaggiava a bordo della sua auto (a cui non ha neanche rivolto delle scuse).
Nella sua medesima condizione versa Manuel (Roberto Gudese), un simpaticone amante della musica costretto ai lavori socialmente utili per spaccio.
Due volti giovani, insomma, a cui neanche per sbaglio sarebbe venuto in mente di mettere piede in un posto del genere, ma che invece si ritrovano adagio a intrufolarsi tra le pieghe di quelle vite raggrinzite e a trovare, tra i meandri di quelle stanze, nel rigore scandito da medicinali, giornali e pasti, un’eco di meraviglia, l’essenza vitale che si materializza nel frusciare discreto delle piccole cose, che sprofonda nei pensieri belli e in quelli brutti, persino in quelli dimenticati, con tutto l’impacciato coraggio che serve per porre repentinamente un nuovo inizio dinnanzi alla parola “fine”.
Il punto di rugiada: il significato dietro alle parole usate nel film
Il regista, supportato in fase di sceneggiatura da Riccardo De Torrebruna e Francesco Frangipane, suddivide l’opera cinematografica in quattro capitoli, corrispondenti alle stagioni, spingendoci con grazia ancestrale a smascherare il senso che si agita all’interno delle parole scelte per il titolo del film. “Eccoci, siamo andati oltre, abbiamo scavalcato il punto di rugiada”, annuncia Pasquale (Maurizio Micheli), evidentemente appassionato di meteorologia. Di lì a poco sopraggiunge una nevicata liberatoria, un evento che trasmette una gioia incontenibile; chi si cimenta in una fasulla “campagna di Russia”, chi fa a pallettoni e chi, addirittura, ne approfitta per morire.
Quel punto di rugiada è il finestrino di vetro che separa le due ere dell’esistenza umana; chi più avanti, chi più indietro, chi nel bel mezzo, ma tutti in bilico perenne, a fare a pugni con una magia intrisa nelle piccole cose, a dimenarsi tra balli, rapporti umani talvolta anche un po’ scomposti, arte, libero arbitrio, sesso e voglia di evasione.
Risi dipinge sul grande schermo l’anima dei suoi personaggi, i quali quasi si liberano dal corpo per divenire amuleti di un concetto che oltrepassa i confini della quotidianità. Lo fa alternando un cast giovane, composto dall’inizialmente scontroso protagonista Carlo (Alessandro Fella), da Manuel (Roberto Gudese) e dalla misteriosa e affascinante infermiera Luisa (Lucia Rossi) a un signorile cast di vecchie glorie: il colonnello Pietro (Eros Pagni), che scandisce tutto col linguaggio e le abitudini militari, la bella e raffinata signora Antonella (Erica Blanc), il poeta Federico (Luigi Diberti), che si stupisce dei suoi stessi versi; le inseparabili sorelle Bertazzoni (Gloria Coco e Cristina Noci), il romantico Chicco (Bruno Nori), perdutamente innamorato della sua Lina (Ariella Reggio), ogni giorno in procinto di andare via, con la valigia in mano, attendendo una corriera che è sempre in sciopero. E ancora Libero Sansavini (Giacomino), Giovanni Pastorenzi (Giovanni), Elena Cotta (Livia), Valerio Binasco (Dario), Palia Pavese (Giovannona), Emilio Dino Conti (Pierluigi) e, chiaramente, il mitico Massimo De Francovich, a cui il regista affida il ruolo di Dino, un famoso fotografo che passa il tempo a immortalare gli ospiti di Villa Bianchi, legge Anton Cechov e starebbe ore a vedere documentari sui leoni.
I tormenti del giovane Carlo… e del vecchio Dino
L’autore sceglie un personaggio così ossessionato dall’arte, dalla morte e così tormentato da pensieri depressivi per far incarnare in alcune venature della sua personalità lo spirito del padre Dino Risi e per innescare il confronto con Carlo, la cui anima viene issata sulla superficie della concretezza sia dalle considerazioni di Dino che dalle parole di Luisa, della quale finirà per innamorarsi.
Dopotutto Il punto di rugiada è tutto un gioco di forze infinitesimali e potentissime, è vita che si consuma libera e selvaggia nella sua fase più fragile, quella della terza età: calderone che accoglie tenerezza e consapevolezza e in cui ogni superficialità scorre soave.
La fotografia di Michele Paradisi provvede ad alleviare o acuire le espressioni segnate dal tempo, a illuminare con una luce rassicurante anche il buio più pesto. La telecamera non si gira dall’altra parte davanti alla morte, anzi ce la spiattella in volto, con tutta la sua naturalezza, come il processo già scritto di una fine prevedile ma tuttavia inafferrabile e indefinita, a tratti rassicurante.
Le scenografie di Elio Maiello contribuiscono a creare un teatro di posa in cui ogni attante è una pedina in una scacchiera disordinata ma armoniosa, sempre pronta a reagire agli impulsi della musica. Musica di un’altra epoca, quella di Riderà di Little Tony (proposta in vari momenti, tra cui una scena particolarmente emozionante che coinvolge Manuel, Carlo e Federico), di Un bacio a mezzanotte del Quartetto Cetra, di Stasera mi butto di Rocky Roberts, di E la chiamano estate di Bruno Martino, di Saint Tropez twist di Peppino di Capri: canzoni che fungono da ponte con la contemporaneità anche grazie a Manuel, il quale funge da traghettatore di tali sinfonie, e che a loro volta si concatenano alla colonna sonora originale di Leandro Piccioni: una musica sofficemente fiabesca, che raggiunge l’apice nel brano posto nei titoli di coda, Padri e figli.
Il punto di rugiada: valutazione e conclusione
Il punto di rugiada è un’opera che innesca la riflessione, che non lesina sorrisi né pianti, che non teme le cedevoli impalcature di un corpo provato dagli anni. Un film da abbracciare con tutto l’affetto di cui si è umanamente capaci, che spiega la bellezza inafferrabile della vita, incastrata in quell’anelito di infinito.
Presentato al 41° Torino Film Festival e nelle sale italiane dal 18 gennaio 2024 con Fandango Distribuzione, Il punto di rugiada è prodotto da Fandango con Rai Cinema.