Il ragazzo della Giudecca: recensione del film di Alfonso Bergamo

Dopo aver diretto numerosi cortometraggi prevalentemente in lingua inglese, il regista Alfonso Bergamo si cimenta nella realizzazione del suo primo lungometraggio italiano (dopo lo sperimentale Tender Eyes, girato in lingua inglese) con Il Ragazzo della Giudecca, di cui è anche sceneggiatore. Tratto dall’autobiografia di Carmelo Zappulla pubblicata nell’anno 1998 e intitolata Quel ragazzo della Giudecca – Un artista alla sbarra, il film di Bergamo è ambientato agli inizi degli anni ’90, quando la vita del noto cantante di origini partenopee subisce un drastico cambiamento. Il cantante viene, difatti, accusato di essere stato il mandante dell’omicidio dell’amante della madre, morta un anno prima. Questo è solo l’inizio di un lungo calvario giudiziario che lo terrà lontano dai palchi e metterà a dura prova la resistenza e la forza di Zappulla e dei suoi famigliari. Il Ragazzo della Giudecca non può sottrarsi dall’essere edificato su un punto di vista estremamente soggettivo: si tratta, infatti, dello sguardo del cantante (interpretato, nel film, da Zappulla stesso), che trascorre complessivamente circa otto anni della sua vita, di cui ben tre in latitanza, a barcamenarsi tra carceri, tribunali e fughe, arrestando la propria prolifica carriera di cantante in nome di un’accusa senza fondamenta.

il ragazzo della giudecca
Bergamo dichiara di voler fare cinema perché permette di “registrare, conservare e modificare il tempo”, ma ne Il Ragazzo della Giudecca è proprio questo scorrere del tempo, elemento che avrebbe certamente contribuito a fornire drammaticità ad una vicenda che ne richiedeva, a mancare del tutto. Probabilmente, però, il difetto più scomodo e seccante è una delineazione dei personaggi, tanto quelli principali quanto quelli secondari, talmente approssimativa da risultare non solo appena abbozzata ma, addirittura, sempre priva di verosimiglianza: pertanto, l’avvocato, il procuratore, la famiglia di Carmelo e il giudice (e non basta nemmeno la performance recitativa di un sempre gradevole Giancarlo Giannini, senza dubbio qui penalizzato e limitato, a rappresentare un’eccezione) si trasformano in sgradevoli macchiette stereotipate che si spingono ben oltre i limiti del grottesco. In questo, è chiaro che prove attoriali del tutto inadeguate non siano d’aiuto. Carmelo stesso diviene niente più che il punto verso cui convergono le perfidie e le ingiustizie di un sistema corrotto, senza che ci sia la minima preoccupazione per la raffigurazione dei suoi sentimenti e per il tratteggio di un percorso di cambiamento, inevitabile dinanzi allo scorrere inesorabile di un tempo che, secondo l’occhio del protagonista, dovrebbe rimanere sempre statico.

Il ragazzo della GIudecca

Bergamo ha un’intuizione autentica e dilettevole quando, per rappresentare gli spettacoli del cantante, decide di restituire un aspetto vintage al film grazie al passaggio dal formato Panavision al rapporto d’aspetto 4:3 in bianco e nero. Purtroppo, questo non è abbastanza quando il regista-sceneggiatore comincia a sguazzare nel territorio del linguaggio televisivo, scoprendosi poco idoneo a narrare la vicenda giudiziaria nei giusti toni e infarcendo il tutto con svolte narrative deliranti. Tutto questo, inoltre, non può che stridere con un monologo finale prolisso e ampolloso, che vorrebbe farsi detentore di una morale ma che, invece, nella sua gridata invettiva contro un sistema difettoso, appare semplicemente inconcludente.
A causa di una scrittura dei personaggi e dei dialoghi fin troppo prevedibile, insomma, Il Ragazzo della Giudecca cade ripetutamente nel ridicolo, convertendo l’accaduto in un divertissement spicciolo costellato di gag buffonesche e assolutamente fuori luogo.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2.5
Recitazione - 1
Sonoro - 1.5
Emozione - 1

1.4