Il regno: recensione del film di Rodrigo Sorogoyen
Vincitore di sette premi ai Goya 2019 Il regno racconta le vicende di Manuel López – Vidal, un dirigente regionale di partito dalla vita privilegiata.
In uscita il 5 settembre Il regno il film del regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen con Antonio de la Torre, Mónica López, Josep Maria Pou, Bárbara Lennie, Nacho Fresneda. Vincitore di sette premi ai Goya 2019, gli oscar spagnoli: regia, attore protagonista e non protagonista, sceneggiatura originale, colonna sonora, montaggio e sonoro. In Italia, presentato in anteprima alla dodicesima edizione del Festival del Cinema Spagnolo, è distribuito da Movie Inspired.
Manuel López – Vidal è un dirigente regionale di partito dalla vita privilegiata, con una moglie e una figlia che lo adorano. Tutto crolla nel momento in cui uno scandalo travolge lui e il suo partito: vengono pubblicate delle intercettazioni che rivelano un suo coinvolgimento in un giro di corruzione e lui sembra esserne il regista. Come da copione viene scaricato dal suo stesso partito e dagli amici, assalito dai media e anche la sua vita personale comincia a subire dei contraccolpi. Ma Manuel non è tipo da arrendersi e farà di tutto per non affondare.
Il regno – Immersione adrenalinica nella cattiva politica
Sin dall’immersivo piano sequenza iniziale – con il protagonista di spalle che attraversa la cucina di un ristorante fino ad arrivare con un vassoio di pregiati gamberoni dai suoi alticci compagni di partito con sottofondo una convulsa musica elettronica – si evince la vita al massimo di Manuel López – Vidal e colleghi. Una vita volta all’eccesso, ai privilegi, ai soldi e al lusso: gite in yacht, orologi e auto costosi, reverenza e agevolazioni ovunque. Tra le loro mani, come un trofeo, un quaderno con segnate le spese illegali del partito. Niente che abbia a che fare con il bene comune, con gli obiettivi teorici della politica. Tanto che si rimane inizialmente disorientati sul ruolo effettivo che Manuel ricopre nel suo partito. Come la realtà ci insegna, la bella vita di un cattivo politico ha, però, una scadenza e quella di Manuel si rivela una vera e propria odissea. Quella che per due ore si staglia di fronte agli occhi dello spettatore. Il dirigente viene smascherato: per quindici anni insieme ai suoi compagni ha trafugato i fondi pubblici per i propri interessi corrompendo chiunque. Il suo regno, così, gli crolla addosso ma Manuel è il classico tipo che pretende di cadere in ogni caso in piedi.
Il ritmo è serrato e non viene risparmiato nessun sentimento e aspetto di questa vicenda tanto da diventare a un certo punto estenuante: litigi furibondi, doppi giochi, ricatti, inseguimenti d’auto da cardiopalma. Sembra, però, l’obiettivo primario del regista che anche attraverso l’onnipresente e adrenalinica colonna sonora, firmata da Olivier Arson, immerge lo spettatore nell’ansia e nel terrore continuo che prova Manuel, fino a trasformare il film in un inquietante thriller. Dopo il normale trambusto mediatico e le conseguenze giuridiche, Il regno devia, infatti, verso tinte fosche e tragiche. Per Manuel non è solo messo a repentaglio il suo ruolo politico e di cittadino libero ma anche la vita stessa.
La verità sotto i nostri occhi
Per due ore non si è mai dalla parte del protagonista perché il film è così veritiero e incisivo da ricordarci ignobili esempi reali. Nell’osservare Manuel darsi freneticamente da fare per preservare la sua vita agiata viene spontaneo riflettere e indignarsi sulla totale indifferenza dei politici verso il loro vero compito. Pensieri populisti che Sorogoyen stimola continuamente attraverso la faccia da impunito del protagonista, un travolgente Antonio De la Torre. E la voce e il pensiero del popolo vengono incarnati pienamente dalla risoluta giornalista Amaia Marìn (Bárbara Lennie) che nel serrato faccia a faccia con Manuel – impeccabile nei dialoghi, nei movimenti di macchina, negli sguardi dei due attori – ripete come in un interrogatorio: “Si è mai pentito?”.
Una risposta vera non c’è e forse la possiamo immaginare, resta il fatto che Il regno colpisce dritto “alla pancia” dalla quale, ad ogni latitudine, emerge da sempre il dissenso e la rabbia popolare e lo fa senza scivolare in una retorica propaganda ma semplicemente mostrando con puntualità fatti ispirati alla realtà.