Il Robot Selvaggio: recensione del film d’animazione

Il Robot Selvaggio, regia di Chris Sanders e adattamento di un romanzo illustrato bestseller, è uno dei migliori film d'animazione degli ultimi anni. Intelligente, spettacolare e commovente, la storia di una madre e un figlio molto speciali. In sala il 10 ottobre 2024.

Decisamente, Il Robot Selvaggio è un film per tutta la famiglia e nel miglior modo possibile. Parla a tutti della stessa cosa, ma trova il modo di scalare l’emozione e il divertimento (anche la commozione) offrendo a ogni generazione l’intrattenimento caldo e intelligente che merita. È un’offerta DreamWorks Animation, il miglior film d’animazione del 2024 e uno dei più riusciti degli ultimi anni, in arrivo nelle sale italiane il 10 ottobre 2024 per Universal Pictures Italia. Formalmente curato, emotivamente complicato (ma nel modo giusto, bello) e tematicamente limpido: la storia di genitori e figli, la storia del sentimento e la storia delle persone. Perché, certo, il film d’animazione diretto da Chris Sanders (Dragon Trainer) adattando il bestseller omonimo (The Wild Robot, da noi è La Fuga del Robot Selvatico) di Peter Brown sarà pure la storia di un’oca e un robot, di creaure meccanizzate e animali selvatici. Ma, ecco, il vero target siamo noi. Cast vocale originale: Lupita Nyong’o, Pedro Pascal, Catherine O’Hara, Bill Nighy, Kit Connor e mr. Skywalker in persona, Mark Hamill.

Il Robot Selvaggio: un’oca e un robot travolti da un (non così) insolito destino

Il Robot Selvaggio cinematographe.it recensione

Parlare di target ha perfettamente senso. Il pubblico familiare (ognuno di noi, dunque) è il target che Il Robot Selvaggio ha in mente ma in un senso incredibilmente meno cinico e vuoto di quanto non pretenda il cinema commerciale contemporaneo, animato o no. La famiglia, da qualsiasi parte dello schermo il destino ci abbia piazzati, è il cuore del sentimento, delle riflessioni e dello spettacolo – il film ha tensione, azione e un bel ritmo – e il pubblico di riferimento. Il Robot Selvaggio punta alla famiglia non solo perché ha bisogno di un riscontro importante al botteghino, per giustificare gli sforzi produttivi necessari a metterlo in piedi, ma anche perché ha qualcosa di sincero da dire – per nulla originale ma è proprio questo il punto – sull’argomento.

Chris Sanders, dirigendo, né Peter Brown, scrivendo, pensavano a rivelazioni spiazzanti o a scomode verità. Per quanto parli di morte e di dolore con una franchezza insolita per lo standard animato (americano, perché in Giappone è un’altra storia) degli ultimi tempi il film ha cuore, momenti di autentica commozione e tanto umorismo. Parla di famiglia e non c’è nulla che non sia stato detto in precedenza, anche dalla migliore animazione, da Miyazaki alla Pixar, ma conta come lo fa: la precisione, l’integrità, la capacità di coniugare spettacolo e interiorità. L’unità Rozzum 7134, “Roz” per gli amici, è un robot originariamente destinato a fornire supporto di ogni tipo – è programmata per questo – agli asettici, noiosi e tecnologicamente evoluti umani che l’hanno creata. Precipita in un’isola selvaggia e misteriosa, incontaminata. Deve difendersi dall’attacco della fauna locale. Non c’è nessuno, lì, che sia felice di vederla.

Finisce per imbattersi (meglio non spoilerare come) in un’ochetta appena nata che per imprinting la identifica con la sua mamma e Roz accetta, perché il suo dovere è assistere e non può tirarsi indietro. All’inizio è un dovere, poi è qualcosa in più. Senza accorgersene, Roz e Beccolustro costruiscono la più scombinata, improvvisata e dolce delle famiglie. C’è anche la volpe Fink, il contraltare umoristico e felicemente cinico che il film oppone al calore, alla commozione e al sentimento, nell’ottica di un salutare equilibrio degli impulsi. La cosa più difficile, per Roz e Beccolustro, ma anche per Fink e tutti gli animali del film – da mamma opossum all’orso e non solo – è capire che il posto giusto è lontano da dove il destino o le convenzioni ci sistemano, e molto vicino al cuore. Alla base dell’emozione di un film come Il Robot Selvaggio c’è un gioco intelligente e apparentemente contraddittorio, che parte dalla penna di Peter Brown e che la regia di Chris Sanders non banalizza. Non capita spesso. Anzi, a dirla tutta, quasi mai.

Equilibrato e fuori dagli schemi, il film coniuga spettacolo e riflessione

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Le contraddizioni possono essere di due tipi, felici o infelici. La contraddizione di un film come Il Robot Selvaggio appartiene alla prima categoria perché è deliberata. Ma si tratta davvero di una contraddizione? Non sarebbe meglio chiamarla, più correttamente, sguardo largo? In apparenza, è contraddittorio raccontare la natura partendo dalle asprezze e la brutalità, o esplorare l’algida comodità della tecnologia evidenziandone il calore o l’utilità fuori dagli schemi. O, ancora, esplorare il rapporto tra una madre e un figlio evocando l’ombra della morte e il senso effimero di tutte le cose. Mettendo per altro in luce il più tradizionale dei legami in una luce non convenzionale. Di un’oca e un robot si tratta; due universi, due sensibilità differenti. Il legame sarà tradizionale, ma la famiglia che ne risulta è tutt’altra cosa . Si potrebbe andare oltre, parlando dell’animazione, della qualità dell’animazione, dinamica, spettacolare. Calorosa e molto elegante.

Chris Sanders finge di contraddirsi ma con Il Robot Selvaggio riesce in un’impresa che lo storytelling contemporaneo, non solo animato, soffre terribilmente: racconta la sua verità da ogni angolazione, coniugando spettacolo e riflessione, trovando il modo di farli comunicare senza ostacolarsi a vicenda. È sempre la solita vecchia storia, ma affrontata con integrità, curiosità e rispetto per le potenzialità del mezzo (cinematografico). In estetica e forma, Il Robot Selvaggio è un’avventura indiavolata, comica, malinconica e dal ritmo solido. Emotivamente, è un’analisi precisa e vitale di tutte le cose davvero importanti sul rapporto tra una madre e un figlio e sull’eterna dialettica natura vs. tecnologia e istinto contro libero arbitrio. È profondo, senza raggiungere l’inaccessibilità. Spettacolare, senza banalizzare il suo spessore.

Il Robot Selvaggio esalta il coraggio di andare fuori dagli schemi, di scegliere il posto giusto invece di quello che altri ci hanno assegnato, senza cedere all’anarchia pura (lo racconta anche il titolo, ulteriore esempio di felice contraddizione). Racconta l’amore bellissimo tra una madre e un figlio senza nascondere le zone d’ombra – lui rimprovera alla madre di soffocarlo, lei non smette di pensare alle cose come sarebbero andate se non ci fosse stato – per suggerire un’idea di cinema interessante, accessibile ma spesso fraintesa. La vita complicata, piena di felicità e tristezza; compito di una buona storia è dare conto di tutto. Il matrimonio tra spessore e intrattenimento è incredibilmente stimolante e sempre possibile. Ci si può emozionare ragionando e il film di Chris Sanders non è spaventato dalla prospettiva. Saprà, il cinema commerciale americano, recepire il messaggio? L’attualità suggerisce pessimismo.

Il Robot Selvaggio: conclusione e valutazione

In un mondo, un cinema, diverso da questo, forse il giudizio (comunque estremamente positivo) su Il Robot Selvaggio andrebbe leggermente rivisto al ribasso. Di cosa si tratta, in fondo? Di lacrime e risate, di avventura intelligente, dell’importanza del legame tra madre e figlio. La pura originalità non è la virtù principe di questo storytelling, ma insistere significherebbe guardare nella direzione sbagliata. Anche se esistesse un’industria del cinema più integra di quella che effettivamente esiste, i risultati raggiunti dall’abile regia di Chris Sanders sarebbero da evidenziare e non da ridimensionare. Viviamo l’era della serialità cinematografica ossessiva, della ripetitività come valore, del botteghino come unico parametro di giudizio e della demonizzazione dell’intelligenza; è maledettamente difficile, ma non impossibile, conciliare provocazione e spettacolo. Il Robot Selvaggio sceglie questa strada e la percorre senza paura, perché sa che il suo cuore emotivo è al posto giusto. Racconta senza nascondere, dando spessore alle riflessioni ma ricordando che il cinema è un’arte, certo, ma spettacolare e rispettosa del pubblico. Il film insegna agli snob e ai superficiali.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4