Il serpente verde: recensione del film d’animazione Netflix
Disponibile su Netflix il sequel del film d'animazione cinese Il serpente bianco, ispirato alla nota leggenda del folklore popolare.
Il cinema d’animazione orientale affascina generazioni di spettatori occidentali: i film d’animazione giapponese sono da anni ormai al centro del panorama mondiale cinematografico, imponendosi per la loro vena autoriale che si mescola al sentore mainstream che attraversa tutta la tradizione degli anime. Ma un cinema asiatico che passa un po’ in sordina rispetto al suo prossimo parente nipponico è quello d’animazione cinese, che risente di una fama minoritaria, ma che comunque riesce a mostrare dei validi esempi filmici. Uno di questi è la duologia in computer grafica di White Snake, ispirato alla narrazione popolare cinese, il cui primo film è uscito nel 2019, mentre il sequel, Il serpente verde, è disponibile ora su Netflix. Il primo film, purtroppo, non è reperibile sulla piattaforma streaming, ponendosi come gap tra chi non è riuscito a recuperarlo precedentemente e chi invece è riuscito a fruire della pellicola.
Diretto da Amp Wong, Il serpente verde è dunque il secondo film che affonda le sue radici nella storia folkloristica La leggenda del serpente bianco, da cui è anche stato tratto nel 1958 un film d’animazione giapponese diretto da Taiji Yabushita.
La storia delle due sorelle Blanca e Verta lasciata in sospeso alla fine del primo film viene ripresa come prologo di questo sequel, ponendosi come ponte diretto tra le due pellicole, come raccordo immaginario di consequenzialità per quella che sembra essere a tutti gli effetti una saga fantasy basata sui sentimenti di fratellanza. Verta, perduta la sorella (protagonista di White Snake) a seguito dello scontro con il monaco Fa Hai, viene rinchiusa in una dimensione-limbo chiamata Asuraville, dove le anime dei morti si sono perse nel ciclo della reincarnazione. Nella futuristica città, Verta deve farsi strada tra lotte intestine e la volontà di abbandonare quel posto per ritrovare la sorella perduta. È qui che incontrerà un misterioso ragazzo incappucciato che sembra essere legato a lei in qualche modo…
Il serpente verde: una storia di sorellanza sullo sfondo della leggenda cinese
Il serpente verde affonda le sue radici nel folklore popolare cinese e, a differenza del primo film, riesce a creare un ibrido omogeneo tra una dimensione leggendaria, rappresentata dalle primissime sequenze e una futuristica, quasi cyberpunk. Tali elementi non cozzano tra di loro, ma riescono a creare un mescolamento e una fusione identitaria che riesce grazie all’uso della cgi.
La storia, al contrario, appare fin da subito frammentata, non solo per chi non ha potuto apprezzare il primo film, ma anche a causa della vorticosa velocità con cui gli eventi si susseguono. Uno spettacolo per gli occhi, dunque, che può diventare cacofonico per via della mole di informazioni e di repentini cambi di registro propri della narrazione.
La narrazione, infatti, condensata in poco più di due ore, sembra peccare di coerenza diegetica che rendano lineare la concatenazione di eventi e soprattutto le intenzioni dei protagonisti, lasciati un po’ vaghi all’interpretazione dello spettatore. Tutto ciò rende alquanto scontata un’immersione nella storia: se la costruzione delle premesse ideologiche vacilla, anche tutto il tessuto narrativo ne risente di riflesso. Il serpente verde è, quindi, una bella fiaba moderna che punta la sua spettacolarizzazione principalmente sul fattore estetico e tecnico.
Anche la cgi cinese vuole la sua parte
La cura maniacale riversata nella composizione di alcune inquadrature e della renderizzazione delle texture di background permette di estrapolare e sospendere questo film in una dimensione quasi onirica, distaccando determinate immagini fotografiche dal restante impasse di influenze cinematografiche eterogenee, provenienti da diversi ambiti dell’animazione e del cinema action contemporaneo. Questo dimostra una voluta aderenza ai canoni artistici e stilistici propri della cultura orientale, ancorata ad una dimensione di pacatezza e rigore figurativo e poetico. L’influenza della cultura e della letteratura cinese, dunque, non sembrano emergere solo dal confronto con la dimensione folkloristica e popolare da cui Il serpente verde attinge la sua base diegetica. Come detto prima, la componente grafica sembra essere quella che solleva il film ad un gradino poco più basso rispetto alla possibilità di conclamarlo un capolavoro: se la narrazione pecca di alcune lacune, la parte grafica segna un trionfo dell’animazione cinese, caratterizzandosi come un ottimo prodotto qualitativamente alto. Alcune inquadrature sono costruite con attenzione manichea alla composizione fotografica, imponendosi come esempi pittorici fotorealistici e fotograficamente superbi. Le potenzialità della cgi sono sfruttate anche per ricreare degli effetti visivi e dei movimenti di macchina vorticosi e fluidissimi, rendendo l’animazione un connubio di tecniche visuali in grado di equipararsi tranquillamente agli esempi più noti del cinema internazionale, e in particolare statunitense.