Il tempo dei giganti: recensione del documentario di Barletti e Conte
Il documentario di Barletti e Conte racconta la fine di una cultura attraverso il racconto della fine di una coltura.
Il tempo dei Giganti, di Davide Barletti e Lorenzo Conte, è il quinto lavoro che la coppia creativa gira in Puglia. Si tratta di un documentario che racconta la crisi fitosanitaria che ha colpito i territori pugliesi, in particolare la Piana degli ulivi monumentali. Secondo alcuni studi il batterio Xylella fastidiosa è arrivato in Puglia, nel 2008, attraverso una pianta di caffè. Il batterio si è lentamente adattato agli alberi di ulivo del territorio meridionale pugliese e ha ucciso milioni di piante, attraverso il cosiddetto Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo. Dal 2013 i suoi effetti nefasti, per l’equilibrio dell’ecosistema e per l’economia del territorio invaso, sono risultati evidenti alla popolazione e alle istituzioni. Il batterio inoltre, non si è fermato nel Sud Italia ma è riuscito a diffondersi anche in Francia, Spagna e Portogallo.
Il tempo dei giganti: due narrazioni
Il Tempo dei Giganti parte dunque da questa emergenza, per intrecciare due forme documentaristiche diverse. Una, più narrativa, segue Giuseppe Semeraro, ultimo erede di una famiglia di olivicoltori, nel suo viaggio verso la casa paterna, per convincere l’anziano genitore del pericolo che minaccia i suoi ulivi. La storia di Semeraro è improntata su un tono elegiaco, in cui immagini del territorio pugliese, del mare e degli ulivi si intersecano per analogie di senso, così da restituire la simbiosi fra uomo ed ecosistema, alla base della tradizione culturale ed economica delle comunità rurali della regione. Inoltre la vicenda di Semeraro funge da spunto per raccontare le storie di altri individui che, in un modo o nell’altro, hanno subito la piaga e in alcuni casi hanno trovato soluzioni innovative per sopravvivervi. Si tratta per lo più di piccoli imprenditori agricoli etici, donne come Chiara Paladini, che ha lasciato la sua vita in Germania per cercare di salvare l’uliveto di famiglia o Roberta Bruno, della cooperativa Karadrà, che addirittura individua nella crisi fitosanitaria una possibile spinta per un cambiamento di paradigma nelle colture pugliesi, attraverso il passaggio dagli ulivi alle piantagioni di pomodoro.
La seconda forma narrativa che possiamo riscontrare nel lavoro di Barletti e Conte, invece, è quella del documentario d’inchiesta, che attraverso interviste dal taglio più istituzionale a scienziati ed esperti, da un lato segue l’evolversi della crisi e, dall’altro, indaga su eventuali carenze nella gestione della stessa da parte della politica e delle istituzioni. Risulta interessante in questa seconda linea, il paragone tracciato fra la gestione della crisi fitosanitaria e quella della recente pandemia. Peccato però che gli autori non approfondiscano di più la questione.
L’albero simbolico
Quello che però affascina de Il tempo dei giganti è la sua capacità di costruire una fitta trama figurativa in cui la raffigurazione degli alberi secolari, vittime del batterio, assume un ruolo prominente e sempre più astratto, in linea col valore simbolico che la pianta detiene nella tradizione artistica occidentale. L’albero è da sempre infatti simbolo del legame fra cielo e terra, cioè fra divinità/vita e mortalità. Così le inquadrature che scompongono la pianta nei suoi elementi, ora rigogliosi, ora disseccati, che fanno da contrappunto alle interviste, rimandano costantemente alla centralità che l’ulivo ha nella vita socioeconomica della Puglia, e in generale del Sud dell’Europa. L’ulivo è stata la pianta attorno al cui simbolismo si è costituita una parte fondamentale della cultura cristiana e alla cui coltura si sono appoggiate numerose civiltà antiche. Il contrasto fra le immagini della monumentalità degli alberi secolari nel loro splendore e quelle della caducità degli stessi, colpiti da un batterio venuto da lontano, suggerisce l’idea di una civiltà al tramonto, colpita dall’avvento di un nemico straniero e barbaro. Il nemico in questione risulta essere il moderno sistema economico globale e globalizzato, che ha fatto in modo, attraverso l’esportazione della pianta di caffè, che il batterio Xylella raggiungesse territori nei quali altrimenti non sarebbe potuto arrivare, decretando, così, la fine di una società basata su tradizioni e ritualità secolari. Di questa fine gli alberi dati alle fiamme dagli stessi agricoltori, per tentare di impedire la proliferazione del batterio, rappresentano un’affascinante e apocalittica allegoria, ottimamente fotografata dagli autori del documentario.
Il tempo dei giganti: conclusione e valutazione
Per il resto la regia è semplice e diretta, la fotografia priva di fronzoli e l’uso del sonoro adeguato a trasmettere il pathos necessario a raccontare la probabile fine di un mondo.