Il Viaggio di Fanny: recensione del film di Lola Doillon
Sopravvivere allo “spettro” della guerra con “inverosimile” delicatezza. Diretto da Lola Doillon e sceneggiato dalla stessa con Anne Peyrègne, Il viaggio di Fanny (trailer) racconta una storia di coraggio, di tenerezza e di apparente debolezza. La particolareggiata realizzazione del contesto attraverso l’attivo impiego di un complesso di giovanissimi interpreti, porta lo spettatore a vivere un dramma risaputo nella maniera più leggera possibile, senza calcare con drammaticità le diverse vicissitudini.
La trama de Il Viaggio di Fanny ci porta nella Francia del 1943.
La nazione è ancora occupata dalla Germania quando i genitori di Fanny, tredici anni, e le sue sorelline più piccole, rispettivamente sei e otto anni, le mandano in un orfanotrofio per bambini ebrei che si trova nel Nord Italia, non lontano dal confine.
Nonostante la drastica scelta, il “tormento” nazista arriva anche sul territorio italiano costringendo i membri dell’orfanotrofio un’ennesima disperata fuga portando i bambini verso il fronte svizzero, noto ai più per essere rimasto fondamentalmente neutrale. Fanny e le sorelle, insieme ad un ristretto gruppo di altri bambini ebrei, si ritrovano sole, senza più né riferimenti, costrette a viaggiare senza sosta fino al raggiungimento della tanto “sospirata” frontiera svizzera. Nonostante l’estenuante viaggio ciò che prevarrà sarà l’invidiabile forza d’animo di Fanny e il coraggio di tutto il gruppo, divenendo l’unico mordente valido per andare avanti fino alla fine.
La qualità più enfatizzata è la poderosa coesistenza di generi che caratterizza la pellicola; questa dolce composizione adolescenziale, brutalmente assorta in un contesto ruvido, talmente impossibile per un nucleo di totale delicatezza. Una prova di forza che costringe prematuramente uno struggente gruppo di bambini ad affrontare la parte più cruda della vita. Plauso a Lola Doillon che, nonostante la tematica, riesce ad eseguire una trasposizione soft di una ruvida realtà, attraverso la rappresentazione di candidi ed innocenti personaggi.
Saper sopravvivere con semplicità
L’apporto tecnico a questa pellicola rende ancora più pregevole il valore intrinseco della stessa, appagando il pubblico con una limpida fotografia. Anche sul piano scenografico, Il Viaggio di Fanny riesce ad essere un prodotto decisamente valevole, creando incredibilmente contesti piacevolmente astratti in una storia tremendamente oscura. La semplicità con cui Lola Doillon armonizza il tutto non solo è rilevante ma anche gratificante; glissando ogni esercizio di stile, la praticità attuata dalla regista diventa la peculiarità più marcata nel film.
Il Viaggio di Fanny si basa su eventi reali e traspone sul grande schermo l’omonimo libro autobiografico di Fanny Bel-Ami.
Il voler raccontare una storia di liberazione per poi “adulterarla” con elementi semi-minimalisti; L’evidente passaggio – come accennato in precedenza – dall’adolescenza all’età adulta attraverso la messa in scena delle esperienze vissute da un gruppo di piccoli eroi; La promiscuità emozionale manifestata, passando da un totale disfattismo a un piacevole ottimismo, fattore determinante della maturazione dei personaggi. La Doillon con consapevolezza mette in scena un valido lavoro di pedagogia capace di richiamare unicamente una fascia ben omologata di pubblico.
Trattare il dramma dell’Olocausto in maniera velata, in modo da farlo apprendere a chi ancora non ne ha conoscenza .
Va esaltata inoltre un’altra capacità che la regista francese ha messo in atto nel suo lavoro. Il Viaggio di Fanny diventa un monito contro ogni forma di disparità razziale, una lieve sollecitazione verso l’attuale collettività, sempre più indottrinata dai soliti pregiudizi. Un chiaro messaggio di un sempre ricercato quieto vivere in una società – quella attuale – da sempre in conflitto con se stessa.
Il Viaggio di Fanny è un film diretto da Lola Doillon. Nel cast Léonie Souchaud, Fantine Harduin, Juliane Lepoureau, Ryan Brodie, Anaïs Meiringer.