In prima linea: recensione del documentario di Francesco Del Grosso e Matteo Balsamo
Con In prima linea Francesco Del Grosso e Matteo Balsamo portano in scena uno spaccato della vita dei fotoreporter di guerra in un documentario intenso, autentico e intelligente. La recensione.
Ci sono molti modi per raccontare la guerra. C’è il resoconto dalla linea di fuoco, la classica immagine dei soldati che sparano, i racconti delle città prese d’assedio, le testimonianze struggenti delle vittime, i festeggiamenti dei conquistatori, i pianti disperati ai funerali e i silenzi assordanti interrotti solo dal suono delle bombe.
E poi c’è il racconto di chi le guerre le studia, di chi ci va impugnando una macchinetta fotografica invece che un kalashnikov. Loro sono tra coloro che ne hanno viste di più ed è grazie ai loro occhi se, la maggior parte delle volte, noi siamo in grado di guardarle con i nostri, pur non correndo nessun rischio, se non quello di sforzarci di capirle.
Francesco Del Grosso e Matteo Balsamo sono i coautori di In prima linea, un documentario intenso, autentico e intelligentemente costruito, più che sulla vita, proprio sull’essere un fotoreporter di guerra. Una categoria che combatte con i tratti mitizzati che spesso la caratterizzano nel racconto popolare, ma che invece è costituita da contorni nitidi e, soprattutto, molto umani.
Dopo il debutto al Mater Film Festival In prima linea è ora in concorso al MyArt International Film Festival 2020 di Cosenza, in formato online dal 9 al 12 dicembre.
Oltre la prima linea
In prima linea si apre, inevitabilmente, in una camera oscura, nella quale ci vengono presentati i tredici fotoreporter protagonisti del documentario. Si tratta di Isabella Balena, Giorgio Bianchi, Ugo Lucio Borga, Francesco Cito, Pietro Masturzo, Gabriele Micalizzi, Arianna Pagani, Franco Pagetti, Sergio Ramazzotti, Andreja Restek, Massimo Sciacca, Livio Senigalliesi e Francesca Volpi. 14 professionisti, ma prima di tutto persone, appartenenti a generazioni diverse e con altrettante storie, stili, formazioni, trascorsi e approcci al lavoro.
Insieme a loro e tramite loro i due registi danno vita ad un viaggio, che, appunto, dalla prima linea va a ritroso e invade la loro sfera privata, raccontando tutto quello che c’è dietro la foto, atto ultimo di un lavoro, prima su stessi e poi logistico, lungo, faticoso e dalla incredibile potenza. La narrazione abbatte gli stereotipi legati alla visione e all’aura che circonda queste figure professionali e arriva a scavare fino alle ossa del loro rapporto con quello che fanno. La fede che ne è alla base, le speranze che in esso ripongono, i sacrifici che un’attività del genere esige e cosa ci si porta dietro quando si torna dal fronte.
Il tutto scandito dalle immagini autentiche di questi incredibili fotografi, talmente forti, ben mostrate e soprattutto ben posizionate nella narrazione, che riescono a rendere questo documentario, a sua volta, un autentico reportage, come se anche i due registi siano diventati dei reporter di guerra, solo raccontandola da una linea dietro la prima.
Una rete emozionale
L’enorme bagaglio di fonti e testimonianze reperito durante la progettazione de In prima linea viene organizzato secondo una, passateci il termine, rete emozionale.
Le interviste sono strutturate in modo semplice e vengono condotte allo stesso modo per ogni intervistato, sono le risposte che, di volta in volta, variano, dando vita ad un mosaico di una ricchezza sconcertante. Ogni risposta diventa un nodo di una rete più ampia, tassello di un quadro totale che, con lo scorrere dei minuti, acquisisce la sua forma finale, potente e, per chi guarda, totalizzante. Un incalzante itinerario zaino in spalla in giro per i luoghi più drammatici dello spazio e del tempo, raccontato attraverso delle istantanee, che fissano e, allo stesso tempo, permettono di continuare a camminare.
Vi potrebbe capitare di perdervi nel racconto di una corsa sotto il fuoco nemico, di un funerale o di una cena con la propria moglie in un ristorante, tornati dal fronte; oppure vi potrebbe capitare di rimanere ammaliati e shockati dagli occhi di una bambina che vi guarda dal finestrino di un bus abbandonato o dalle foto di ragazzi che suonano, come un’orchestra sparsa per un edificio bombardato o, ancora, in mille altre cose. Sia come sia, sarà sempre questione di un momento (o di un secolo, poco importa), prima di continuare con la prossima foto e il prossimo racconto.
In prima linea è un documento semplice, ma originale, che è andato a scovare un mondo sterminato che per la fretta di raccontarsi correva il rischio di perdersi, ma che invece, imbrigliato a dovere e messo sui giusti binari, ha avuto modo di sprigionare la sua incredibile potenza.
Uno degli intervistati dice che quello vuole da una sua foto sia che rimanga impressa egli occhi di chi l’ha vista, anche dopo che ha distolto lo sguardo. Non c’è modo migliore per descrivere quello che i due registi sono riusciti a fare.