Incontri ravvicinati del terzo tipo: recensione del film di Steven Spielberg
La recensione di Incontri ravvicinati del terzo tipo, film di Steven Spielberg che ha gettato le basi per una filmografia di fantascienza senza precedenti.
Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo comincia nel Deserto del Sonora, in New Mexico. Durante una tempesta di sabbia, lo scienziato Claude Lacombe (François Truffaut) e il suo team di scienziati governativi, ritrovano in perfette condizioni una squadriglia di bombardieri data per dispersa nel Triangolo delle Bermuda alla fine seconda guerra mondiale. Ma dei piloti nessuna traccia. A molte miglia di distanza il piccolo Barry, nel cuore della notte, si sveglia e si accorge che tutti i giocattoli e gli elettrodomestici di casa sembrano vivere di vita propria. Come colto da un’improvvisa visione, esce e comincia a correre, inseguito dalla madre.
Intanto in una pacifica cittadina dell’Indiana, vive la famiglia Neary, formata dal padre Roy (Richard Dreyfuss), la moglie Ronnie (Teri Garr) e i tre figli. Roy rimane coinvolto con molte altre persone in un avvistamento e in un successivo inseguimento di alcuni oggetti volanti luminosi, dove incrocerà il piccolo Barry con la madre e al termine del quale comincerà a dare sempre maggiori segni di squilibrio. Cosa sta succedendo? Chi o cosa erano quegli essere volanti? E perché Roy sta lentamente impazzendo? Tutto verrà chiarito in un viaggio incredibile e fantasioso, dove lentamente si troverà la risposta finale a una della più intriganti domande di sempre: siamo soli nell’Universo?
Incontri ravvicinati del terzo tipo: quando la fantascienza è salvezza
Risulta assolutamente fuori di dubbio che parlare di Incontri ravvicinati del terzo tipo significhi sicuramente fare un salto in un decennio molto particolare, su quel finire di anni ’70 dove dominavano incertezza, paura, terrorismo e una contrapposizione tra blocchi assolutamente terribile. L’America era appena uscita distrutta dal conflitto in Vietnam ed era attraversata da criminalità, incertezza, droga e paura.
In tutto questo, la fantascienza, soprattutto per quello che riguardava ogni possibile incontro tra alieni e umani, ormai da diverso tempo avevo scelto di dipingere il tutto come un’apocalisse con chiari rimandi al colosso sovietico. Gli alieni erano spietatamente intelligenti, impietosi, freddi e terribili conquistatori del suolo terrestre (o meglio americano), a cui per molti versi sembrava assolutamente vano resistere fino a quasi al finale.
L’Ultimo Uomo della Terra, E la Terra Prese Fuoco, 1975: Occhi Bianchi sul Pianeta Terra… in tutti questi film il futuro era tragico, era terribile e gli alieni quando apparivano erano mostri, nemici. In tutto questo arriva in quel 1977 il nostro Steven Spielberg, che decide con Incontri ravvicinati del terzo tipo di mostrarci qualcosa ambientato ai nostri giorni, di mostrarci soprattutto un concetto, un’idea di alieno totalmente diversa da ciò a cui un certo cinema, e in primis anche una certa letteratura ci aveva abituato.
Spielberg infatti decide che gli alieni saranno sì misteriosi, fugaci, diversi, ma anche e sopratutto che saranno buoni, positivi, che ogni sparizione e rapimento troverà una soluzione, un epilogo assolutamente non cruento, che l’uomo si confronterà con un’entità superiore, ma benevola, dalla quale potrà imparare molto.
Incontri ravvicinati del terzo tipo: gli alieni di Spielberg sono diversi da qualunque altra rappresentazione
A quanto pare l’idea a Spielberg venne quando vide assieme al padre una pioggia di meteoriti cadere nello Stato del New Jersey, e che lo avrebbe portato ancora 17enne a girare Firelight, film che poi funzionò da base narrativa (e non solo) proprio per Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. Perché girare un film sugli alieni, su degli alieni “diversi” da quelli che si erano visti fino ad allora, per lui rimase un chiodo fisso, un sogno, alimentato dai vari avvistamenti, fatti di cronaca, nonché da uno sterminato numero di opere (più o meno connesso agli UFO) da cui trasse ispirazione per realizzare quella che è, a conti fatti, una meravigliosa fiaba, un viaggio verso un ignoto né spaventevole né pericoloso, ma pieno di meraviglie.
Richard Dreyfuss assurge qui a perfetta metafora di quell’adulto sempre in parte bambino che è la personificazione di Spielberg, omaggio ai folli, ai sognatori, ai visionari di ogni epoca e ogni tempo, a chi insegue una visione, una chiamata… L’infanzia, il senso della meraviglia, della scoperta, è il grande messaggio di un film che sovente inquieta, ma mai spaventa, quanto piuttosto affascina con il suo portarci dentro un caleidoscopio di verità, visioni, di rivelazioni e materializza quell’incontro che ancora oggi affascina e fa sognare tutti noi.
L’equazione di Drake viene risolta, rivelata, gli “altri” sono così diversi e così simili a noi, tanto da usare cinque note musicali per dirci “Ciao”, per farci capire che sono qui per levarci di dosso paure, angosce, quella terribile sensazione che a volte ci porta e pensare che forse siamo soli e insignificanti in quanto tali tra le stelle. Gli “altri” non è un caso che per Spielberg abbiano fattezze e dimensioni simili a quelle di bambini, bambini teneri e geniali e in fondo quasi incomprensibili per quegli adulti curiosi, ma spaesati.
Incontri ravvicinati del terzo tipo come metafora del ritrovare se stessi
La metafora è evidente: per ritrovare se stessi, quei piloti e quelle persone mai invecchiate che ritornano tra noi così come il protagonista, infine accolto in quella gigantesca astronave che aveva tanto agognato, bisogna tornare un po’ bambini.
La volontà di scoprire, il rifiuto della paura del nuovo del diverso, lo spirito dell’avventura e la leggerezza nel vedere il domani, sono i messaggi veramente sotterranei di Incontri ravvicinati del terzo tipo, che va oltre la Fantascienza come mero esercizio di sperimentazione visuale. Questa ci propone una visione del mondo, dello scibile, persino dell’uomo, slegata da quella disperata, divisa e in preda agli istinti più bestiali che animava quei terribili anni 70. Per questo, anche per questo, il film di Spielberg rimane dopo tanti anni uno dei punti di riferimento non solo e non tanto del genere, ma della cinematografia mondiale.
Poche altre volte infatti, un’opera ha saputo andare oltre il genere, abbracciando un messaggio così universale, così comprensibile e coerente.
Con una colonna sonora a dir poco leggendaria del grande John Williams, la fotografia di Vilmmos Zigmond che fece storia e si aggiudicò l’Oscar grazie alla sua incredibile capacità di valorizzare in modo unico luce e tenebre, giorno e notte e di sposarsi con gli effetti speciali di Douglas Trumbull e Carlo Rambaldi, Incontri ravvicinati del terzo tipo ancora oggi è punto di riferimento, fondamenta di un numero sterminato di altri film, serie tv, videogiochi, romanzi e fumetti che da allora hanno attraversato la nostra cultura pop. Ha illuminato il genere di una luce nuova, universale, andando oltre i limiti che fino a quel momento molti imputavano a chi volesse raccontare di pianeti lontani o futuri più o meno improbabili.
E lo ha fatto grazie a un’idea, una sceneggiatura, che non si può non definire uno dei punti più alti mai raggiunti da un regista capace come nessun altro di materializzare i nostri sogni collettivi.