Inmusclâ: recensione del mediometraggio di Michele Pastrello

Un mediometraggio indipendente che mette insieme cinema d'autore e stilemi di genere.

L’industria cinematografica italiana è dominata da regole estetiche e produttive abbastanza precise. Non è concesso molto spazio a chi tenti di proporre un cinema non conforme a queste regole. Così che il linguaggio filmico delle nostre produzioni appare sempre più asfittico, scontato e uniforme. Anche per quanto riguarda le storie narrate è difficile uscire da certi parametri e nonostante una relativamente recente apertura al genere, si fa ancora fatica a trovare un cinema popolare in grado di raccontare qualcosa che vada oltre la malavita, le periferie e le questioni sentimentali borghesi. Cercando nell’ambito del cinema indipendente e underground le cose cambiano poco. Eppure così come nel mainstream a volte emergono alcuni cineasti degni di questo nome, anche nel cinema più marginale (rispetto al sistema produttivo) si può scovare una certa urgenza comunicativa che brucia sotto le ceneri dell’omologazione estetica imperante. Michele Pastrello autore indipendente e sempre più autarchico, che è approdato dal 12 dicembre in VOD su Chili con il suo mediometraggio Inmusclâ, è un esempio di quanto affermato.

Inmusclâ Cinematographe.it

Inmusclâ, distribuito da Emerafilm, racconta di una donna, interpretata dalla brava Lorena Trevisan, che, impegnata a cercare qualcosa, o qualcuno, finisce per inoltrarsi dentro una foresta innevata. La donna si perde fra alberi, monti, ruscelli e rovine sinistre che custodiscono una sorta di portale magico. Quest’ultimo sembra catalizzare le visioni di creature della foresta simili a demoni ctoni, che tormentano la donna. In voice over, le parole della poetessa ottantaduenne Bianca Borsatti – che recita in clautano, una variante del dialetto friulano, parlato solo in alcuni paesini – ci aiutano a comprendere il senso delle immagini.

Un viaggio all’interno del gelo interiore

Si tratta di un viaggio verso le terre del freddo e della neve. O meglio dentro il freddo e la neve di una natura congelata. Un viaggio nei territori di un gelo interiore, assediato dai demoni di un passato sempre presente. Quello di Inmusclâ è un cinema che affonda le sue radici in un espressionismo in grado di muoversi fra simbolismo e psicologia.

Inmusclâ Cinematographe.it

Non a caso il mediometraggio si apre con una citazione dello psicologo freudiano Erikson sull’impossibilità per l’essere umano di superare una sorta di tema/trauma originario, sul quale, anzi, egli costruisce una serie di variazioni, entro le quali perdersi. Questo è proprio quello che sembra accadere alla protagonista. La foresta, in quest’ottica, si può leggere come il simbolo di un labirinto dell’anima e gli alberi, le creature ctonie, persino i lupi e gli uccelli diventano immagini delle variazioni di un’angoscia primigenia, che può essere interpretata in varie maniere dallo spettatore. Ostacoli all’interno di un percorso volto alla riscoperta del sé, varie forme della coazione a ripetersi del trauma di un evento tragico accaduto nell’infanzia, la paura di affrontare il proprio io più profondo. Il simbolismo della neve che tutto copre è fondamentale. Si tratta, nella sua forma più basilare, di acqua congelata e l’acqua, al cinema, è spesso immagine del fluire della vita. In questo caso di una vita bloccata in un tempo limbare, che non riesce a scorrere. Non è forse un caso che il film si apra e chiuda con immagini di un ruscello che scorre, dopo averci immerso, insieme alla sua protagonista, fra le nevi.

Inmusclâ: un mosaico intarsiato alla perfezione

Ma al di là di questi elementi contenutistici, sicuramente affascinanti, ma tutto sommato abbastanza diffusi in certo tipo di cinema d’autore – soprattutto quello che guarda alla scuola nordeuropea – ciò che risulta davvero vincente nel mediometraggio è la qualità della messa in scena. Il regista veneto è capace di costruire il suo espressionismo simbolico, utilizzando semplicemente immagini che valorizzano al massimo il paesaggio boschivo friulano e il volto espressivo della Trevisan.

Inmusclâ Cinematographe.it

Pastrello non solo gestisce con sapienza i contrasti luministici fra i toni scuri della foresta e il candore della neve, ma riesce anche a restituire varie gradazioni di un bianco simbolico, senza mai finire per offrire immagini abbacinanti o bruciate. Ogni inquadratura è controllata e studiata per essere il tassello di un mosaico intarsiato alla perfezione. Il ritmo del mediometraggio è ottimo. La varietà di posizioni della macchina, montate seguendo tempi a volte sincopati, altre volte rallentati, permette allo spettatore di tenere alta l’attenzione verso un racconto/viaggio che in mani meno esperte sarebbe potuto risultare farraginoso. Infine i pochi effetti speciali presenti sono tutti ben realizzati e credibili.

Inmusclâ: valutazione e conclusione

Si badi, il film non è perfetto, qualche piccola nota si potrebbe fare sui costumi dei demoni e su poco altro. Ma se si considera che il mediometraggio è un prodotto a basso budget, con una troupe tecnica ridotta all’osso, si può comprendere bene come il risultato finale sia un lavoro che si pone al di sopra della media. Soprattutto Inmusclâ non ha paura di mettere insieme il linguaggio del cinema autoriale più psicologico con gli stilemi del genere thriller/horror, per offrire una visione personale e radicata in una cultura locale specifica molto forte, in grado di allontanare qualsiasi ombra di omologazione allo standard globalizzato del cinema mainstream.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3

Regia: 4; sceneggiatura: 3;  fotografia: 3,5; recitazione: 3,5 sonoro: 3;  emozione: 3