Invito al viaggio – Concerto per Franco Battiato: recensione del film
Per Battiato, la Sicilia era soprattutto un sentimento di radicamento di ciò che non si può radicare, una pulsione
Al cinema il 20, 21 e 22 giugno, Invito al viaggio – Concerto per Franco Battiato è il film che Pepsy Romanoff ha dedicato al concerto che si è tenuto lo scorso 21 settembre all’Arena di Verona. In onore del Maestro Battiato.
Doveva essere una celebrazione per i quarant’anni dall’uscita de La voce del padrone, l’album di più largo e persistente successo di Franco Battiato, long seller pubblicato il 21 settembre 1981.
Si è trasformato, malgrado le diverse intenzioni dell’organizzatore Francesco Cattini, in un concerto omaggio, in memoria del cantautore catanese, venuto a mancare prematuramente nel maggio precedente all’anniversario.
Invito al viaggio, diretto con profondità di visione da Pepsy Romanoff, è il resoconto – la restituzione a chi non c’era, da intendersi non in senso documentaristico, ma nel segno di un’estetica alta – di quell’evento, tenutosi all’Arena di Verona il 21 settembre dello scorso anno, vera e propria convocazione del nume tutelare del grande artista da parte dei tanti artisti intervenuti, che alla sua lezione insieme umana e musicale si sono ispirati e avvinghiati, interiorizzandola fino a confondere il confine con l’appreso.
Di questi tanti artisti, ne citeremo nell’articolo solo alcuni, chiedendo agli altri perdono per quella che non è dimenticanza, ma l’impossibilità di riferire tutte le individualità di un così nutrito numero. È anche vero – e sarà chiaro a chi vedrà il film – che è difficile persino segmentare il concerto, estrapolarne dei momenti, tanto avanza come un flusso in cui l’anima di Battiato sembra incarnarsi in diverse voci, ciascuna ‘altra’ rispetto alla sua e nel contempo aderente, in perfetta armonia.
Da Sonia Bergamasco a Diodato, attraverso i ‘suoi’ siciliani: l’emozione ‘sublimata’ in poesia degli artisti amati da Franco Battiato
In un recitativo soffiato e morbidamente vocalizzato, con il contrappunto della superba soprano Cristina Baggio, Sonia Bergamasco intona la canzone d’apertura che dà nome all’evento, Invito al viaggio (da Fleurs, 1999), e sembra quasi dialogare con Arisa, che la segue nell’ordine di scaletta nell’interpretazione della delicata Come Away, Death – “Vattene via, morte!” –, e l’impressione è che la morte che strappa alla vita sulla terra non abbia scavato distanze, ma rafforzato il legame con chi se n’è andato, nella piena ricchezza di un lascito che gli eredi non hanno dissipato e non dissiperanno.
Più tardi, dopo Morgan, interviene Angelo Branduardi, che soppesa ogni verso de Il re del mondo: quando, nell’andamento quasi poematico del suo canto, raggiunge il centro del componimento (“Nei vestiti bianchi a ruota echi delle danze sufi/ Nelle metro giapponesi oggi macchine d’ossigeno/ Più diventa tutto inutile più credi che sia vero / E il giorno della fine non ti servirà l’inglese”), l’aria sembra spostarsi per tenere dietro a parole che richiamano all’essenza nuda dell’esperienza di vita per la quale tutto ciò che impariamo finisce per impalarci di fronte alla necessità più radicale del disimparare.
Le donne di Battiato: Alice, Carmen Consoli, Paola Turci
Ad Alice, legata a Franco Battiato per tutta la vita da grande affetto e da una profonda intesa artistica, è affidata La cura, canzone-manifesto dell’amore universale che trova nella devozione alla singolarità di chi si ama la sua espressione più potente: la esegue con la classe senza pari che ha da sempre contraddistinto il suo percorso cantautorale e pianistico.
Un’altra donna, Carmen Consoli, a cui Battiato aveva suggerito più volte di esplorare le tonalità più gravi della voce, in una discesa agli inferi delle proprie possibilità espressive, aveva già cantato – ‘gravemente’ – l’elegia contemporanea Tutto l’universo obbedisce all’amore e ritorna anche in seguito sul palco, insieme agli altri siciliani presenti: con Giovanni Caccamo, Colapesce, Dimartino, Mario Incudine e Luca Madonia interpreta Centro di gravità permanente, uno dei più grandi successi pop del Maestro.
La scelta della canzone non è un caso: per Battiato, la Sicilia era soprattutto un sentimento di radicamento di ciò che non si può radicare, una pulsione – e, dunque, una ripetizione, qualcosa che viene da dentro e non può estinguersi – a perdere e a perdersi, a decentrarsi, quasi a disintegrasi, una condizione del profondo lo avvicina ai suoi conterranei, ciascuno isola tra le isole, risucchio solitario in mezzo ad altre solitudini.
E se molte canzoni interpretate sfidano (e sfiorano) il mistero divino – echeggiano la voce elegantemente lamentosa di Vasco Brondi, quando in Magic Shop rimescola spiritualità orientale ed occidentale, misticismo e superstizione popolare, nel comune denominatore di una domanda che interroga l’enigma (“Una signora vende corpi astrali / I Budda vanno sopra i comodini / Deduco da una frase del Vangelo / Che è meglio un imbianchino di Le Corbusier“), e quella più voluminosa di Diodato in E ti vengo a cercare (“Perché ho bisogno della tua presenza“) –, Paola Turci non dimentica che ricordare Battiato significa anche sottolineare la sacralità che ai suoi occhi rivestiva l’impegno politico, la partecipazione all’ordine di civiltà: la sua Povera Patria rilancia il dolore che fu di Battiato di fronte allo svilimento delle istituzioni e all’ingordigia predatoria dei suoi reucci.
All’invito al viaggio hanno risposto, in fondo, coloro che Franco, riamato, amava: impossibile non cogliere la loro emozione, l’ammutolimento del loro dire riassorbito dal canto, un dire sospeso divenuto tutt’uno con i versi del Maestro. Questi ultimi, veri protagonisti non tanto di un ricordo, ma di una storia che continua nella vita di chi li ha saputi capire, pur senza saperli spiegare.