Io faccio il morto: recensione del film di Jean-Paul Salomé
Io faccio il morto è una commedia leggera che unisce sapientemente i toni del poliziesco e quelli da comico quasi demenziale.
Io faccio il morto (Je fais le mort) è un film francese del 2013 diretto da Jean-Paul Salomé, prodotto da Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne, con François Damiens, Géraldine Nakache e Lucien Jean-Baptiste.
Jean Renault è un attore con una carriera in declino. Nonostante il Cesar vinto in passato, le sue uniche e poche interpretazioni si riducono a spot televisivi e piccole produzioni in cui viene cacciato o tagliato fuori a causa del suo carattere ossessivo e pedante. Deciso a non buttarsi giù, si reca presso l’ufficio di collocamento dove la sua consulente gli propone un lavoro piuttosto singolare. Jean dovrà interpretare il ruolo di un morto, non in un film ma all’interno di una ricostruzione della scena del crimine da parte della polizia.
Deciso ad inseguire qualsiasi offerta di lavoro, accetta e parte per Megève, una località montana dove è stato commesso un triplice omicidio. Al suo arrivo troverà una squadra di polizia affiancata da Noémie Desfontaines, giovane magistrato, che deve ricostruire la scena del delitto tentando di capirne le dinamiche precise. Jean Renault, scrupoloso e maniacale per i dettagli, oltre ad interpretare il suo ruolo, porterà non poco scompiglio sul luogo del crimine, riuscendo anche ad aiutare le autorità a risolvere un caso apparentemente complesso e inestricabile.
Io faccio il morto: la commedia grottesca di Jean-Paul Salomé
Io faccio il morto è una commedia leggera che unisce sapientemente i toni del poliziesco e quelli da comico quasi demenziale. Lo scenario si trasforma in una inverosimile inchiesta della polizia, con ricostruzioni comiche, gag non sempre riuscite e un cast quasi del tutto assente, che lascia il peso del film e la sua credibilità sulle spalle di François Damiens. Tra personaggi improbabili e situazioni grottesche, il film di Jean-Paul Salomé riesce a collegare diversi registri drammatici oscillando tra il thriller e il romanticismo, fondendo tutto nella logica della dark comedy. L’apparente semplicità della messa in scena consente al regista di creare un clima sardonico, caricaturale che esaspera il genere crime, rovesciandolo fino a renderlo burlesco, quasi no-sense.
Io faccio il morto non brilla particolarmente sul lato interpretativo, più la storia va avanti più si esacerba il vuoto della trama, che non vive né di un racconto intenso né di suspance. Io faccio il morto dal punto di vista emotivo è totalmente abulico, se non fosse per qualche momento divertente e alcune gag spassose il film rischierebbe di annoiare non poco. Il regista riflette, in modo sottile, sulla natura del mestiere dell’attore, traslandolo in una storia che necessita dello slancio creativo di un commediante per poter risolvere il caso di omicidio.
Io faccio il morto dilapida la sua stravaganza
Jean Renault è ben consapevole che ciò che sta calcando non è il suo palcoscenico abituale, ma lo fa con la stessa grinta e la stessa caparbietà con cui interpreterebbe un ruolo a teatro o al cinema, immedesimandosi a tal punto da pensare come la vittima e da agire e reagire come dovrebbe fare essa stessa. Il suo modo di porsi all’interno delle scene porta la storia a diventare un piccolo e misurato spettacolo teatrale, precisamente come una tragedia shakespeariana. L’Amleto è ben presente nel finale, in cui è proprio il mezzo teatrale a rivelare l’identità dell’omicida, un piccolo vezzo drammatico non di poco conto, ma che impreziosisce l’eccessiva leziosità della trama, che dilapida la sua stravaganza, preferendogli frammenti da film rosa e un epilogo maledettamente sentimentale.