Io sono leggenda: recensione
Io sono leggenda è un film del 2007 diretto da Francis Lawrence con protagonista Will Smith, il campione indiscusso di incassi cinematografici negli ultimi 10 anni. Difficile non rimanere estasiati e spaventati davanti le immagini impressionanti di una New York devastata dalla vegetazione e dall’abbandono. Sì, abbandono, perchè di questo il film parla, una terra decimata da un virus letale. Le inquadrature di portano in una savana moderna tra gli incroci della Grande Mela e le buie e pericolose profondità del suolo dove si nascondono questi esseri affamati e deformi. Il solo uomo rimasto in questo panorama è proprio Will Smith, eccellente nella recitazione visto la difficoltà che trova il protagonista ad intavolare discorsi con un cane e dei manichini, posti all’interno dei negozi per cercare di colmare il vuoto che il virus ha creato.
Il protagonista si trova dunque a combattere per la sopravvivenza, mangiando una serie di cibi in scatola, guardando DVD e cercando di affrontare la vita come fosse normale. Quando cala il sole, la sua diventa da cacciatore a preda. Di notte gli esseri informi escono e distruggono tutto ciò che incontrano. La sua vita è diventata triste e piatta senza nessuna possibilità di miglioramento. Il film è costituito da molti flashback che tentano di spiegare allo spettatore come si è potuti giugere a quel livello. L’unica speranza per Robert Neville (Will Smith) è trovare una cura, un siero che riporti pian piano le cose alla normalità.
Cercando di dare spunto ad una impobabile denuncia, l’obiettivo principe della pellicola è stupire lo spettatore con continui colpi di scena giocati da una computer grafica in forma smagliante. Difficile non rimanere di stucco davanti ai Leoni sulla Fifth Avenue o al mastodontico crollo del ponte (costato 5 milioni di dollari). Ovviamente andando alla ricerca dello stupore si lascia un po da parte la trama, che spesso risulta lenta e prevedibile. Tutto sommato Io sono leggenda è un discreto titolo che ha il difetto di non essere grande proprio perché risulta autocondizionato dalla ricerca di un continuo stupore. Discreto