Io sono Sofia: recensione del docufilm di Silvia Luzi
La recensione di Io sono Sofia, il docufilm di Silvia Luzi che racconta la storia della transessuale Sofia e del percorso di transizione da uomo a donna.
Io sono Sofia, il docufilm diretto da Silvia Luzi, segue le ultime fasi del percorso compiuto dalla transessuale Sofia per essere finalmente sé stessa, tanto nell’anima quanto nel corpo. Un viaggio di transizione che inquadra le difficili dinamiche di una riaffermazione d’identità che avviene attraverso noi stessi, ma poi anche – per forza di cose – tramite la percezione delle persone e del mondo attorno a noi.
Alla sua nascita Sofia non era ancora Sofia. O, meglio, era già Sofia ma in un corpo che non era il suo. All’età di tredici anni la sensazione di vivere in un corpo non proprio inizierà però a farsi largo, e insieme a quella si farà largo poco alla volta anche la consapevolezza di dover far qualcosa per cambiare quello stato di cose. Inizierà così un lungo viaggio di transizione verso il proprio “vero” corpo, verso la possibilità di dare alla propria esteriorità sembianze che aderiscano perfettamente anche alla propria interiorità. Ma quanto è difficile attuare una transizione così drastica che includa anche la trasformazione di un corpo (da uomo a donna, come ad esempio in questo caso)?
Presentato in occasione della ricorrenza dei cinquanta anni (28 giugno 1969) dalla piccola rivoluzione avvenuta allo Stonewall Inn di New York che avrebbe poi dato il via alla grande battaglia per i diritti della comunità LGBT, e già transitato su Rai 3, Io sono Sofia ripercorre le fasi salienti e finali del percorso di Sofia (giovane donna ventottenne) verso sé stessa, e verso quell’operazione chirurgica in Thailandia che infine sancirà il reale cambio di sesso riaffermando l’identità di Sofia non solo nel nome e nell’interiorità, ma anche nell’esteriorità del corpo. Un viaggio lungo, estremamente complesso e doloroso quello che parla di Sofia nella scoperta (più che accettazione) del proprio sé, anche e soprattutto in rapporto con il mondo esterno; un rapporto che include in primis i propri cari (i genitori e il fratello minore), ma poi anche gli amici, i conoscenti e la società tutta, sempre accecata e alienata dai propri paraocchi e dai propri pregiudizi. Perché nell’economia di una trasformazione così difficile e “stratificata” entra di diritto anche la difficoltà di chi deve vivere quel percorso insieme a te, comprenderlo e appoggiarlo, a patto di volerti restare accanto.
“Io sono questa, io sono Sofia”
La regista Silvia Luzi indaga in poco più di ottanta minuti, attraverso le parole della protagonista – “Io sono questa, io sono Sofia” – e il suo confrontarsi con le persone attorno a lei, il cuore di Sofia e della sua storia, prendendola come esempio e simbolo di un viaggio complesso, ma possibile, attraverso la riaffermazione di un io che rappresenta davvero noi stessi e non ciò che gli altri vedono (o vorrebbero vedere) in noi. In una dimensione che cerca di fotografare la realtà di questa e tante storie come questa, di portare lo spettatore in un viaggio che poi diventa il viaggio di ciascuno di noi verso la nostra consapevolezza, Io sono Sofia isola dunque le spigolosità e le difficoltà del percorso a ostacoli, specie nella ri-assegnazione dei rapporti con sé stessi e con gli altri. E infatti ciò che emerge con preponderanza e maggiore forza da questo docufilm che parla in primis di persone, di sensibilità, del fardello di un sentirsi inadeguati e fuori posto di cui è sempre giusto sbarazzarsi, sono le lotte quotidiane per riaffermare la propria voce e il proprio posto nel mondo. E così Sofia, la sua bellezza, il suo candore, la sua intelligenza ribadiscono e ristabiliscono proprio la forza e l’importanza di questo viaggio verso la ricerca ultima di sé stessi. Un viaggio che riserva sempre tantissime insidie ma che è necessario fare per sentirsi, infine, davvero in contatto con il corpo e il cuore di ciò che siamo e che, nel tempo, vogliamo davvero essere e diventare.