Io sono Tempesta: recensione
Io sono Tempesta, il nuovo film di Daniele Luchetti, al cinema dal 12 aprile con Cattleya e Rai Cinema, sa quello che vuole dire, ma non riesce a farlo con efficacia.
Numa Tempesta. Un nome che è già un ottimo punto di partenza da cui poter sviluppare i contorni di un personaggio che sappia racchiudere insieme le bizzarrie più lussuriose e un’irrefrenabilità quanto mai incauta. Numa, perché nella nostra contemporaneità sono oramai gli imprenditori i nuovi imperatori e come tali si prestano per racchiudere nelle loro incravattate e sornione figure tutti quei vizi e quelle pochissime virtù che caratterizzano – non mancando anche di cedere in un certo gusto dello stereotipo – una determinata categoria di sovrani.
È infatti di un potente che parla Io sono Tempesta e di conseguenza del potere in sé, della frantumazione di questo e della regola da applicare per fare in modo di mantenerlo. Cosa che il film sembra non riuscire a seguire.
Io sono Tempesta – Nessuna empatia nel film di Daniele Luchetti
È un imprenditore plurimiliardario Numa Tempesta (Marco Giallini), un costruttore di città, il proprietario di un albergo, ma insieme anche un uomo condannato per frode fiscale che deve scontare la sua pena per un intero anno all’interno di un centro di assistenza per poveri. Un lavoro, quello all’interno dei servizi sociali, che per nulla si addice alla figura di Tempesta, ma che, dopo la conoscenza più approfondita con Bruno (Elio Germano), suo figlio Nicola (Francesco Gheghi) e altri frequentatori del centro, gli permetterà di dormire sonni tranquilli. Non solo, di dormire come non aveva mai fatto.
Daniele Luchetti con gli sceneggiatori Giulia Calenda e Sandro Petraglia prendono la notizia di cronaca, ne estraggono il fulcro e lo rimescolano fino a renderlo qualcosa di diverso seppur ancora vicinante al fatto di partenza. È del Silvio Berlusconi che si aggira per i centri sociali di Milano che la storia voleva parlare, ma la voglia di usare la fantasia per arricchire la vita di più cinema fa in modo che il racconto diventi nel suo svilupparsi qualcosa di altro. Un rifarsi sempre ai soliti noti, ma tentando al contempo di allontanarsi dalla realtà ed approdare così nella libertà della verosimiglianza. Una scelta interessante, ma che i tre sceneggiatori sembrano non saper gestire.
In un’Italia dove il povero è il vero principe della sua città, il film Io sono Tempesta scansa la morale per poter trattare senza consuetudini il tema della differenza sociale, cercando di evitare il buonismo del ricco che riesce a staccarsi dal proprio patrimonio e dando al miserevole la possibilità di riscattarsi non necessariamente grazie alla propria lealtà, ma utilizzando anche il più becero dei trucchetti. Nessun ruolo di considerevole riguardo per davvero nessuno di quei discutibili personaggi, incapaci di entrare in empatia tra di loro e rendendo, di riflesso, anche noi incapaci di entrare in empatia con i loro pensieri, le loro azioni, il loro agire.
Io sono Tempesta – La zona di grigio in cui perdersi
Ma nella zona di grigio che Luchetti assieme ai suoi collaboratori è andato a creare, i contorni non solo si mischiano per poi delinearsi nuovamente nel proprio risultato di commistione di ideali, ma vanno a stabilire una bolla di confusione che rende claudicante la narrazione del film, la quale più di una volta sembra non saper più cosa dire. Neanche le buone interpretazioni di Marco Giallini ed Elio Germano sono in grado di salvare lo stato di annebbiamento che procede mentre si va avanti con lo svolgere del film; gli attori rimangono anzi a loro volta imprigionati nell’opera provando a districarsi nel migliore dei modi.
Io sono Tempesta sa da dove vuole partire eppure si ritrova a non andare da nessuna parte, trovando un finale che di certo è adatto all’impostazione che si voleva dare alla pellicola, ma perdendosi completamente sul tragitto da percorrere per arrivare alla conclusione. Un film che il genere della commedia sa anche rimarcarlo non privando lo spettatore di qualche sorriso o uno spunto su cui poi pensare, ma che nella baraonda della tempesta non può far altro che disperdere pezzi impetuosamente.