Istmo: la recensione del film di Carlo Fenizi con Michele Venitucci
La cronaca di una rinascita in un film per il quale esiste un prima e soprattutto un dopo Covid-19.
“In questo momento storico così delicato, il film rappresenta un ulteriore possibile spunto di riflessione sul valore delle relazioni autentiche e sul legame con la pienezza della vita”. Con queste poche ma significative parole, Carlo Fenizi ha accompagnato l’uscita on demand su Chili lo scorso 20 maggio della sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Istmo. In effetti, per l’opera del cineasta foggiano esiste un prima e un dopo lockdown, che vede cambiare totalmente l’approccio e il modo di leggere la storia e le immagini da parte dello spettatore di turno a seconda di quando queste sono state fruite. Sicuramente il guardarlo adesso con gli occhi di chi si sta leccando le ferite inflitte dalla pandemia è tutt’altra cosa rispetto a quando tutto questo rappresentava solo un brutto incubo.
Istmo, un kammerspiel claustrale che si carica di nuovi significati
Fatto sta che scorrere la sinossi e vederne la trasposizione sullo schermo ha un non so che di profetico, terribile presagio di ciò che poi diventerà una condizione necessaria per il contenimento della pandemia, ossia la quarantena con tutto quello che ne consegue: il distanziamento sociale, lo smart working, la consegna a domicilio e la comunicazione indiretta attraverso la rete.
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La pellicola in questione è stata ultimata nel 2019 ma, viste le cronache di queste settimane, ora acquisisce involontariamente un significato esponenzialmente più elevato rispetto a quello che ne aveva guidato la scrittura all’epoca del concepimento. Vuoi o non vuoi, dunque, la prospettiva cambia e con essa il nostro sguardo sul film che abbiamo visto solo di recente, con tutto il carico sulle spalle e i segni lasciati dalla reclusione ad influenzare il giudizio finale. Probabilmente prima non sarebbe stato altro che l’ennesimo kammerspiel italiano da due camere e cucina con tanto di terrazza panoramica dalla quale osservare e spiare il mondo mentre scorre. Ora resta tale, ma con l’eco amplificato delle tematiche affrontate (il vivere prima dell’apparire, il valore del tempo, l’importanza dei rapporti umani) che aumenta di peso specifico.
La storia di Istmo è quella di un traduttore, fotografo e influencer di nome Orlando, un’anima sospesa, vittima e specchio di una società che unisce apparentemente ma di fatto ci separa inevitabilmente. Fuori non c’è nessun virus a decimare la popolazione, bensì una sottile lingua di terra, bagnata su entrambi i lati dalle acque di un lago, che congiunge tra loro due territori più vasti. L’istmo, appunto, che in greco antico significa “collo” e che si presta come nome di battesimo della pellicola di Fenizi. Si tratta di un concetto astratto, destinato a diventare concreto nel momento in cui il protagonista (interpretato da Michele Venitucci) riuscirà a uscire dal labirinto rappresentato dalla sua stessa casa, al contempo gabbia e crocevia topografico di figure vere e immaginifiche che lo vanno a trovare.
Un film sulla solitudine e il confinamento domiciliare autoindotto
Istmo è un film sulla solitudine e il confinamento domiciliare autoindotto di una sorta di hikikomori tormentato dal passato e da un trauma mai cicatrizzato, al quale il presente prova a dare un’occasione di rinascita sotto forma di incontri in carne ed ossa (tra cui quelli con la rider Marina e il coinquilino Amad, con cui è costantemente in conflitto e che si rivelerà portatore di un’inattesa identità) che strappano Orlando dall’esistenza virtuale che si è costruito. Confinata anch’essa, la macchina da presa di Fenizi si limita ad assecondare la dimensione claustrale del racconto, seguendo in parallelo il “valzer” d’incontri e il percorso individuale del protagonista. Dunque non c’è molto da segnalare da un punto di vista estetico-formale, con una regia piuttosto lineare e semplificata per quanto riguarda le soluzioni visive adottate. La regia si palesa di più nella direzione degli attori chiamati in causa, con Venitucci che funziona a fasi alterne a seconda del materiale dialogico e interpretativo che gli viene fornito di volta in volta dallo script.