IT (1990): recensione della miniserie televisiva
La nostra recensione della miniserie televisiva IT del 1990, primo adattamento del monumentale romanzo scritto da Stephen King.
A 4 anni dalla sua uscita e dal suo immediato ingresso nell’Olimpo delle opere letterarie più conosciute e apprezzate delle ultime decadi, il celeberrimo romanzo di Stephen King, IT, trova nel 1990 una prima non particolarmente riuscita trasposizione in un’omonima miniserie televisiva di due episodi, dalla durata totale di poco più di 3 ore, incentrati rispettivamente sulle avventure dell’iconico Club dei Perdenti da bambini e da adulti. A guidare l’eterogeneo cast è uno stratosferico Tim Curry, che pur in un contesto poco convincente consegna agli annali un’interpretazione del clown Pennywise davvero azzeccata e inquietante, costantemente in bilico fra crudeltà e sbeffeggiamento. Fra gli altri interpreti dei protagonisti da bambini e da adulti meritano sicuramente una menzione Seth Green (noto principalmente per il suo ruolo in Buffy) e i compianti John Ritter e Jonathan Brandis, deceduti entrambi prematuramente nel 2003. Alla regia Tommy Lee Wallace, fedele collaboratore del leggendario John Carpenter.
Il doppio scontro fra Pennywise e il Club dei Perdenti
It si articola attraverso flashback e flashforward lungo due distinti momenti temporali, il 1960 e il 1990, teatro di un doppio scontro fra i membri del Club dei Perdenti e il malvagio pagliaccio Pennywise, emanazione di un’entità demoniaca che torna a seminare panico e morte nella piccola cittadina di Derry a intervalli regolari di circa 30 anni.
La prima parte è imperniata sull’incontro fra i piccoli Bill Denbrough, Ben Hanscom, Beverly Marsh, Eddie Kaspbrak, Richie Tozier, Mike Hanlon e Stan Uris, sulla loro lotta contro la banda di bulli capitanata dal piccolo teppista Henry Bowers e sul loro primo scontro con Pennywise, a cui fa seguito la solenne promessa di tornare a combattere tutti insieme la bestia in caso di un suo ritorno.
La seconda parte di It ha invece per protagonisti i membri del Club dei Perdenti da adulti, che vengono richiamati da Mike Hanlon a causa del manifestarsi di nuovi atti di violenza riconducibili al demone da loro affrontato 30 anni prima. Gli uomini di oggi devono così confrontarsi con i fantasmi di un passato che credevano di essersi lasciati definitivamente alle spalle.
IT: il film del 1990 è un prodotto sciatto e malamente invecchiato
Nonostante sia stata parte integrante della crescita (e degli incubi) dei nati a cavallo fra anni ’70 e ’80, la miniserie IT ci appare oggi come un prodotto sciatto e malamente invecchiato, vittima delle ristrettezze economiche in cui versava il panorama televisivo di allora (lontano anni luce dalle grandi produzioni e dall’approccio autoriale di oggi) e della superficialità nel trasporre su schermo un romanzo monumentale, che prima di essere un mero racconto dell’orrore è soprattutto una grande e universale storia di amicizia, formazione, crescita e ricongiunzione con il proprio passato e con le proprie radici.
Tommy Lee Wallace non segue la strada del suo maestro John Carpenter e priva l’opera di un solido contesto politico e sociale e del necessario approfondimento dei personaggi, sottraendo così alla storia gran parte della tridimensionalità e dell’intimità scaturita attraverso la lettura dell’immortale romanzo di King. Ad appiattire ulteriormente la narrazione sono inoltre degli attori non sempre in parte (pensiamo soprattutto ad Annette O’Toole ed Emily Perkins, cioè le due interpreti di Beverly Marsh, il personaggio probabilmente più complesso e affascinante del libro), una regia scolastica e la povertà di scenografia, fotografia e soprattutto degli effetti speciali, che a tratti sconfinano apertamente nel ridicolo involontario.
IT si mantiene faticosamente a galla nella prima parte, per poi inabissarsi nella seconda
La prima parte di IT riesce faticosamente a tenersi a galla, grazie soprattutto alle parti mutuate in maniera fedele dall’opera originale e alla straordinaria performance di Tim Curry. Nonostante il suo Pennywise diverga in maniera sostanziale da quello del romanzo, con un’ironia molto più spiccata e un irrefrenabile gusto per la derisione dei Perdenti, l’attore riesce a generare momenti di vera tensione e genuino terrore, facendo chiudere un occhio sulle tante magagne a livello narrativo e sulla grottesca semplificazione di alcuni risvolti del romanzo originale, fra cui citiamo il totale annullamento della dimensione cosmica di It, qui ridotto a un mero mostro dalle sembianze di clown e senza scopo o contesto.
A fare sprofondare definitivamente IT nella sfera dei B-movie è una seconda parte raffazzonata e totalmente priva di spessore, con gli adulti che non riescono né a replicare la buona alchimia instauratasi fra le loro controparti fanciullesche né a dotare i loro personaggi di consistenza e solidità. Fallimentare inoltre la scelta di Tommy Lee Wallace e del suo cosceneggiatore Lawrence D. Cohen di dare un’enfasi eccessiva e fuori luogo all’incontro dei personaggi da adulti e ai loro ricordi del passato, che trasformano il film più in una scialba e anemica rilettura de Il grande freddo che nella toccante metafora della crescita concepita da King.
IT: un prodotto sbagliato in partenza e vecchio fin dalla nascita
L’epico scontro finale fra i Perdenti superstiti e It, trasformatosi senza alcuna spiegazione nella forma aracnide, viene ridotto a un affrettato e imbarazzante duello fra gli adulti (con gli interpreti in evidente disagio) e il ragno, reso prima con pedestri effetti speciali da fantascienza di bassa lega anni ’50 e in seguito con uno squallido pupazzo di plastica. La pietra tombale su un prodotto realizzato con sconcertante superficialità e una deplorevole mancanza di rispetto e fedeltà per lo spirito dell’opera originale. Agli appassionati di questa fantastica storia rimane così solo qualche scena di effetto con protagonista Pennywise e il ricordo della paura provata approcciandosi alla miniserie da bambini, ma ridotta ai minimi termini con una successiva visione da adulti e con un minimo di senso critico.
Tirando le conclusioni, la miniserie televisiva IT è un prodotto sbagliato in partenza e vecchio fin dalla nascita, figlio di inevitabili compromessi per portare sul grande schermo un racconto dai risvolti particolarmente spaventosi e inquietanti e indebolito dalla mancanza di tempo, budget e profondità per trasporre adeguatamente un romanzo di tale portata. Un’opera che nonostante i difetti non possiamo fare a meno di ricordare con un affettuoso sorriso, ma che ci auguriamo possa essere al più presto sostituita nell’immaginario collettivo dal nuovo adattamento cinematografico di Andrés Muschietti, in arrivo nelle sale italiane.