Itaca. Il Ritorno: recensione del film di Uberto Pasolini
Ralph Fiennes, Juliette Binoche e Claudio Santamaria sono i protagonisti dell'audace rilettura dell'Odissea a firma Uberto Pasolini. Itaca. Il Ritorno arriva nelle sale italiane il 30 gennaio 2025.
Senza mostri e senza dei, l’Odissea riletta da Uberto Pasolini (Nowhere Special) in Itaca. Il Ritorno, in sala dal 30 gennaio 2025 per 01 Distribution dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma, è tante cose insieme. Un viaggio al contrario – c’è ma non si vede – dalla dolorosa autenticità, che rende omaggio al mito senza farsi intimidire dal peso dei secoli (dei millenni, più esatto). Il tradimento, lucido, di una storia che tutti conoscono e della quale il regista – e sceneggiatore, con John Collee, Edward Bond e la collaborazione di Ruwanthie De Chickera – osa ridiscutere l’alchimia (suona come un sacrilegio ma non c’è niente di più lontano) per rinfrescarne lo spirito, senza rinnegarlo. Un piccolo grande lavoro di riscrittura cinematografica-letteraria-poetica che deve molto al prestigio del suo notevole cast, cominciando dalla coppia di protagonisti, Ralph Fiennes e Juliette Binoche. Un uomo e una donna, un marito e una moglie, separati dal tempo e dalla guerra. La guerra è la chiave.
Itaca. Il Ritorno: un padre lontano e sopraffatto dai sensi di colpa, una madre stanca, un figlio confuso
C’è stata una guerra, è finita più o meno da dieci anni ma se ne avverte ancora l’eco. L’obliquo intervento di Uberto Pasolini sul corpo (narrativo, mitologico, poetico) dell’Odissea è uno stratificato gioco di contraddizioni. Itaca. Il Ritorno è la cronaca dettagliata – spogliata di qualsiasi accenno a presenze o verità soprannaturali – degli ultimi canti dell’Odissea. È il racconto di un viaggio, quando ormai tutto è finito. È il rifiuto dell’epica, nel segno di una poesia più intima, più sofferta, più vera. È, vale la pena di ripeterlo, l’omaggio a una storia immortale travestito da arguto tradimento, è la guerra spiegata a distanza. Del poema di Omero c’è la superficie narrativa, mentre l’interiorità Uberto Pasolini l’ha riscritta con i suoi partner per tenersi in sintonia con il nostro modo di vedere e sentire.
Sono passati dieci anni dalla fine della guerra di Troia, dieci anni dal massacro e dalla macchinazione del cavallo di legno. Anche la guerra era durata dieci anni, quindi è da venti che il furbo Odisseo (Ralph Fiennes), la mente dietro il tranello, manca da casa. Itaca. Il Ritorno lo ritrova nudo, affaticato e semisvenuto sulla spiaggia. Torna naufrago quando nessuno più ci crede; torna da solo, e questa è una grossa parte del problema. La guerra si è presa i compagni di Odisseo. Partendo alla volta di Troia, il re di Itaca ha portato con sé i giovani migliori e adesso non ha il coraggio di guardare in faccia la sua gente e chiedere scusa perché è stanco, disgustato e sopraffatto dai sensi di colpa. La guerra ha sbriciolato l’anima di Odisseo, che deve ritrovare la via interiore e un po’ di pace.
La guerra ha piegato ma non spezzato la regina Penelope (Juliette Binoche), che attende da vent’anni il ritorno del marito tra volontà di ferro e un disperato bisogno di calore umano. Assediata dal dubbio, e da un’armata di odiosi pretendenti, i proci, con alla testa l’insinuante Antinoo (Marwan Kenzari), promette che prenderà una decisione sul suo futuro coniugale quando avrà finito di tessere la tela che fila di giorno e disfa di notte, perché non si sposa Odisseo se non si è intelligenti come e più di lui. La guerra ha tolto a Telemaco (Charlie Plummer) un padre e lo ha soffocato con l’apprensiva tutela materna; deve imparare a diventare uomo, ma non sa da dove cominciare. Itaca. Il Ritorno è la storia di Odisseo che torna a casa e prova a rimettere a posto le cose. È ancora possibile? Comincia partendo dalla periferia. Si fa riconoscere dal vecchio cane Argo – il momento più straziante e commovente del testo di Omero, qui ripreso fedelmente – che aspettava di rivederlo prima di andarsene, dal guardiano dei porci Eumeo (Claudio Santamaria) e dalla nutrice Euriclea (Ángela Molina). E poi risale.
Una rilettura coraggiosa, moderna e antica nello stesso tempo
In attesa di capire cosa ne farà Christopher Nolan, c’è ancora qualcosa da dire sull’Odissea riveduta ma non corretta di Uberto Pasolini. La prima, la più sorpredente data la premessa (ripensare Omero? Spogliandolo? Sul serio?), è questa: funziona. Non in maniera perfetta, non al di là di ogni ragionevole dubbio, ma funziona, l’epica spogliata di se stessa, il mito capovolto e imbevuto di verità psicologica e realismo. Se c’è un limite per Itaca. Il Ritorno è che la sorgente è un modello così grande, così influente, così centrale nella coscienza culturale collettiva che il film – da interpretare nei termini di una variazione sul tema e non di un affronto iconoclasta – impallidisce semplicemente esistendo accanto all’Odissea. Eppure, funziona.
Funziona, la traslazione di analisi psicologica e modernità di pensiero sul corpo di una storia vecchia millenni. Uberto Pasolini racconta la guerra in maniera puramente cinematografica: allude, evita il confronto diretto, dà carta bianca all’immaginazione dello spettatore perché il focus è sugli effetti della guerra su chi parte e chi resta, non la sua plastica rappresentazione. Itaca. Il Ritorno è la cronaca delle macerie, interiori e non, che la guerra lascia dietro di sé, il ritratto di un mondo di uomini e donne soli e la speranza di riconciliazione nella (ri)costruzione dell’unità familiare. Lo svuotamento dell’anima di Odisseo, un Ralph Fiennes mai così immalinconito e muscolare, è intimamente legato al dolore, alla forza interiore e alle recriminazioni di Juliette Binoche, a sua volta un tutt’uno con il limbo esistenziale di Charlie Plummer, figlio in cerca di una strada.
La sua è la traiettoria più interessante del film, la rilettura più coraggiosa e anche quella più opaca, perché a fianco di due giganti come il duo Fiennes-Binoche il carisma del giovane attore americano soffre. Interessante il dolorosamente consapevole (del suo destino e di quello altrui) Marwan Kenzari; Antinoo è la spina nel fianco nella coscienza di Penelope, la voce del dubbio, i rimproveri rivolti a un marito assente per troppo tempo e per ragioni discutibili. Cinema dell’interiorità spiegata attraverso i corpi, cinema intimamente poetico nel rifiuto di qualsiasi accenno di vuota spettacolarità, Itaca. Il Ritorno è la coerenza tra l’idea coraggiosa di Uberto Pasolini e il realismo intenso, la verità politica e quotidiana, del suo film.
Itaca. Il Ritorno: valutazione e conclusione
Rileggere un classico è un conto. Prendere di petto (amichevolmente, s’intende) un fondamento culturale dell’Occidente – perché solo dell’Occidente? – è tutt’altra cosa. Il valore di Itaca. Il Ritorno, nell’impossibilità di tener testa all’originale e nell’audacia di un’interpretazione in sintonia col nostro presente, va misurato proprio sulla forza del testo omerico preso a riferimento dal film. Uberto Pasolini racconta e denuncia la guerra facendo cronaca dei suoi nefasti effetti, parla del tempo che passa, della solitudine e della lontananza nel quadro di un film in costume dalla sobria poesia, dalla limpida ma non ostentata eleganza. Un’operazione coraggiosa, in bilico tra freschezza d’approccio e il conforto di una storia e un immaginario immortali. Non la rilettura definitiva, ma una solida proposta, dall’apprezzabile originalità.