Italo Calvino Nelle Città: recensione del film da Roma FF19
A cent’anni (più uno) dalla nascita e a quaranta (meno uno) dalla morte, Davide Ferrario dedica un documentario a Italo Calvino e alla sua scrittura in movimento tra città inventate, città visitate e città abitate. Presentato alla Festa di Roma, esce nelle sale il 28, 29 e 30 ottobre 2024.
Scritto a quattro mani con l’italianista Marco Belpoliti, il documentario che Davide Ferrario dedica a Italo Calvino fa propria una definizione di «città» che l’autore (1923-1985) riferisce a un luogo d’invenzione, Zaira, secondo la quale una città non è fatta del materiale dei suoi tetti, ma dell’impalpabilità delle «relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato». Così, analogamente, Belpoliti e Ferrario realizzano un ritratto di Calvino attraverso una trama relazionale che circoscrive spazio fisico, dilatabile o inabissabile, e spessore temporale, di un’esistenza devota sì alla letteratura – «Il massimo del tempo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei» –, ma soprattutto alla scrittura. Scrittura come operazione manuale d’incisione di segni che producono significati e scrittura come continua invenzione e come continua decifrazione della fantasia messa in parola, delle «linee di una mano» in cui il passato, reale o fittizio che sia, compiutosi in una storia, può stringersi, chiuso in un pugno che si apre e spiega a chi sa leggerlo, e il cui primo lettore è proprio Calvino stesso, perché scrivere, per lui, è innanzitutto leggere quel che c’è, “guardarlo”, e ugualmente quel che non c’è, comunque vedendolo.
Dai Caraibi a Sanremo, da Torino a Parigi: infanzia, giovinezza e maturità di Italo Calvino attraverso le ‘sue’ città
Belpoliti e Ferrario cominciano dai Caraibi in cui i genitori di Calvino – «il bambino buono», un bambino rimasto tale «molto a lungo» – hanno vissuto e fatto fortuna prima della sua nascita e del successivo ritorno in Italia come famiglia: entrambi, padre e madre, persone di scienza, studiosi del mondo vegetale; entrambi delusi dal rientro in patria, dal fascismo che, nella patria ritrovata, hanno voluto sfidare e da cui sono stati messi all’angolo. Il loro senso di sconfitta si è tradotto presto in una forma di autoesilio nella splendida villa sanremese dal vasto giardino pieno di piante catalogate, un paradiso terrestre per periti botanici da cui il piccolo Italo ha cominciato a sognare di fuggire verso un altrove.
Un altrove che poi si è delineato nelle architetture elegantemente algide e bigie di Torino, città del «movimento» e della «concentrazione» – ben diversa dalla provincia-guscio, da cui, nondimeno, uscire fu «come ripetere il trauma della nascita» – che attrasse Calvino, più che per la temperatura letteraria – per lui, la Torino letteraria coincide quasi esclusivamente con la figura di Cesare Pavese –, per il suo tenore morale e per lo slancio civile delle sue lotte. Dell’esperienza partigiana, Calvino ha trattenuto «il piglio»: il documentario, che si avvale di interviste d’archivio allo scrittore, di letture in fuoricampo e di letture recitate, in tono forse troppo teatralmente declamatorio, da parte di quattro attori (Valerio Mastandrea, Alessio Vassallo, Filippo Scotti, Violante Placido), restituisce al pubblico la passione di Calvino «a operare» e i modi attraverso i quali la «carica» messa prima a servizio della militanza è divenuta poi combustibile di avventure vissute con la mente, insieme cognitivamente e immaginosamente.
Italo Calvino Nelle Città: valutazione e conclusione
Tra le altre città ‘attraversate’ dal documentario di Ferrario, in sala per tre giorni – 28, 29, 30 ottobre 2024 –, ci sono anche Roma, la città in cui forse ha passato più tempo pur non vivendoci mai, una città incapace di far parlare «il silenzio», l’amata Parigi, nido della maturità, in cui «non c’è soluzione di continuità tra musei, edifici e negozi» e in cui tutto è «enciclopedia», e New York, a cui forse Calvino ha dedicato il ritratto più bello, definendola «città elettrica», «piena di ritmo, senza radici, senza profondità e senza segreti» che, proprio per questo, non incute soggezione e anzi spinge al desiderio di fermarsi, paradossalmente di radicarsi.
Il futuro, Calvino, stroncato ancora giovane, nel 1985, a 61 anni, da un ictus, se lo aspettava interessante: «Le cose migliori verranno dall’Unione Sovietica, dove nulla è distrazione, e dagli Stati Uniti, dove tutto è distrazione». Per la letteratura immaginava un avvenire fuori da(l) sé, ma non per far parlare altri io, bensì quanti non hanno parola: l’uccello, l’albero, la pietra, il cemento, la plastica. Calvino nelle città rende un omaggio coerente a uno scrittore che ha saputo, nella stessa misura, concentrarsi e distrarsi, sostare in sé stesso o trasmigrare nei suoi personaggi, perdersi e ritrovarsi nelle città. Forme di relazione tra spazio e tempo che, come scrive nel suo Le città invisibili (1972), non sono opere né della mente né del caso, ma soltanto risposte alle domande di chi ci vive, corrispondenze visibili a ricerche furtive e a desideri clandestini. Contenitori ordinati di disordine, tentativi di pensare l’irrazionalità del Reale attraverso una grammatica urbanistico-esistenziale: «Se il mondo diventa sempre più insensato, l’unica cosa che possiamo cercare di fare è dargli uno stile».
Italo Calvino nelle città è un film diretto da Davide Ferrario, che si è occupato della sceneggiatura insieme a Marco Belpoliti, vede nel cast Valerio Mastandrea, Alessio Vassallo, Filippo Scotti e Violante Placido. È una produzione Anele con Rai Cinema, Luce Cinecittà e RS Productions, prodotto da Gloria Giorgianni con Pietro Peligra, con il sostegno del Ministero della cultura direzione generale cinema e audiovisivo e di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund e con il patrocinio di Comune di Torino, Comune di Sanremo, Comune di Avigliana e Comune di Mondovì.