Jaima: recensione del corto di Francesco Pereira dal Sole Luna Doc 2024
Con Jaima, Francesco Pereira ci porta alla scoperta dei Saharawi, i profughi "dimenticati da oltre 40 anni in Algeria: recensione del corto.
“Quando i Saharawi ti invitano nelle loro tende, partecipi a un rituale in cui ascolti le storie e le voci del deserto.” Con questo incipit, Francesco Pereira introduce Jaima, interessante cortometraggio, presentato al Sole Luna Doc 2024, che racconta la storia dei profughi interni “dimenticati” da oltre quarant’anni in Algeria. Il tema dell’immigrazione è fortemente presente all’interna della rassegna internazionale di cinema documentario, che si è svolta alla Gam e a Palazzo Branciforte di Palermo dal 1 al 7 luglio 2024. Francesco Pereira ha girato Jaima all’interno della zona in cui risiede questo popolo, che è stato perseguitato e sbattuto fuori dalla propria terra dall’ombra dell’Imperialismo. A raccontare la storia è una donna, che si rivolge alla telecamere quasi come a volerci rendere partecipe del rituale del thé nella sua tradizionale tenda, la jaima. Il cortometraggio racconta la vita quotidiana di un popolo costretto a sopravvivere nonostante le avversità.
Jaima, quando la sofferenza diventa la quotidianità
Tra le dune del deserto del Sahara, c’è una jaima, la tradizione tenda del popolo Saharawi. Una donna, di cui non conosciamo il nome, attraverso il rituale del thé, ci porta nel passato e nel presente del suo popolo, intonando una triste canzone. Tramite le sue parole e le immagini di repertorio, scopriamo la perseguzione subita dagli Saharawi, che oltre quarant’anni prima sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre e le certezze di una vita “normale.” La donna offre tre tipi di thé: il primo, quello amaro come la vita, la stessa che i profughi Saharawi stanno vivendo tutti i giorni da decenni. C’è un ragazzo che si reca dal farmacista: ha bisogno dei medicinali per suo padre.
Il secondo, ci dice che è “dolce come l’amore” e veniamo trasportati all’interno della quotidianità di due innamorati – senza nome e senza volto – che si fanno promesse reciproche. Il terzo thé è quello che conclude il cerchio della vita, e ha un sapore leggero come la morte. In questo caso ci viene mostrato un ragazzo (lo stesso del primo spezzone) lasciare la famiglia per unirsi alle milizie. “Che razza di mondo è questo che lascia gli uomini liberi senza un tetto? Che razza di mondo è qusto che tollera l’uccisione dei bambini?”, così termina il corto Jaima di Francesco Pereira.
La tematica dell’immagrazione in Jaima, seppur attuale, non è abbastanza d’impatto
La storia della lotta del popolo Saharawi comincia durante la colonizzazione spagnola del Sahara occidentale, con il governo franchista. Dopo aver abbandonato la colonia, la gente dovette vedersela contro la violenta occupazione del regno del Marocco. Una storia di sopravvivenza e sofferenza iniziata quasi cinquant’anni fa. Da allora, e 170.00 profughi vivono in un pezzo di terra concessa dal Marocco, in attesa di ritornare nelle loro terre. Un conflitto dimenticato dalla storia, che tristemente ci ricorda la questione palestinese sulla Striscia di Gaza e la guerra arabo-israeliana. La vita dei Saharawi procede secondo uno stile di vita essenziale, mentre lottano continuamente per sopravvivere.
Il tema dell’immigrazione, mai come ora così attuale, non è però abbastanza d’impatto come ci si può aspettare. L’idea di introdurre lo spettatore allo stile di vita di questo popolo (per farci capire come stanno vivendo) è originale, ma appare privo di emozione.
Jaima: valutazione e conclusione
In conclusione, Jaima è un documentario sulla questione sahawariana, sconosciuta ai più, che senza dubbio incuriosisce in relazione allo status dei profughi sparsi per il mondo. Tuttavia, seppur dotato di una splendida fotografia del deserto del Sahara (sia di giorno che di notte) e delle sue meravigliose e incantevoli dune, non offre spunti interessanti di lettura e rimane molto in superficie, come una lettura scolastica, senza affrontare a fondo la questione migratoria, come invece ci si aspetterebbe.