Joker – Folie à Deux: recensione del film da Venezia 81
Il fantasma della celebrità e le "note dolenti" della solitudine in Joker - Folie à Deux.
Dopo l’enorme successo riscosso tra il pubblico e la critica del film uscito nel 2019, replicare la magia sembrava difficile, ma Todd Phillips ha deciso ugualmente di realizzare un secondo capitolo per andare ancora più a fondo nell’introspezione del personaggio di Joker. Al suo fianco, in questa impresa, il solito encomiabile Joaquin Phoenix – che praticamente meriterebbe un Oscar ogni anno -, stavolta accompagnato da Lady Gaga in un musical dalle atmosfere thriller che tenta di emanciparsi dal film originale. Il risultato è in effetti curioso e inedito, ma non del tutto sovversivo e in parte sprovvisto di pathos.
Joker – Folie à Deux: la (dis)illusione (anti) climatica dell’abbandono
Niente (dis)avventure, niente capriole narrative, niente disordine in città: la follia a due di Joker e Harley Quinn è qui solo mentale, illusoria, sbiadita, è una promessa non mantenuta che resta imprigionata nella menzogna come Arthur nel carcere di Arkham. Todd Phillips sceglie coscientemente questa strada – la meno scontata – per affrontare un sequel problematico già da principio, individua una traiettoria inedita che si distacca dal film precedente conquistando una propria affascinante dimensione.
L’intimismo psicologico del film è causa di una inevitabile staticità che si riflette nelle ambientazioni – poche: il carcere, il tribunale e il palco immaginario e immaginato delle canzoni – e nel ritmo del racconto, ma soprattutto nella condizione del protagonista, che implode ed è costretto a riflettere sul proprio dualismo interiore arrivando a sussurrare che non c’è alcun Joker, ma solo Arthur; anche il legame con Harley è quindi solo un delirio, un inganno, un appuntamento mancato con la fantasia.
Joker – Folie à Deux: valutazione e conclusione
Questo Joker è in fondo una lunga e non chiusa parentesi sul mondo dello spettacolo, sul fanatismo del pubblico, sulla gogna e sull’esaltazione mediatica, sulla rappresentazione nella rappresentazione, sulla sempre più labile scissione tra essere umano e personaggio, attraverso un tono da commedia nera particolarmente spinto e le note di canzoni che si perdono nell’utopia del sognato(re), nella sgargiante e forzata monotonia dell’intrattenimento, nella (s)mania di protagonismo e di follia.
Se però Joaquin Phoenix è incontenibile come il dolore infinito che porta nello sguardo, non si può dire lo stesso di Lady Gaga, che non viene sfruttata al meglio e finisce per non incidere come avrebbe potuto: la sua Harley è troppo sbiadita e secondaria, non abbastanza distruttiva da giustificare l’influenza su Joker e da quest’ultimo pure troppo emotivamente lontana. Colpa di una scrittura che talvolta si lascia condizionare dall’immobilismo programmato della messa in scena e non riesce a produrre la magia pura che invece si manifesta in un finale epico dove nella morte ribolle una pulsione straripante di vita e di cinema.