Jonathan: recensione del film di Bill Oliver

Un piccolo grande film a metà tra opera di formazione, fantascienza ed esistenzialismo, adornato dalla sensazionale performance di Ansel Elgort.

Vi sono molti film di grande valore che la critica ha potuto apprezzare all’interno di questo Trieste Science+Fiction Festival 2018. Ma per quello che riguarda la profondità, originalità e potenza della sceneggiatura, la delicatezza ed intelligenza della regia, nessuno è pari a Jonathan di Bill Oliver.
Jonathan spinge fino all’estremo il concetto di doppio, di dualismo, di maschera nella società moderna e nell’inconscio come a suo tempo fu studiato ed approfondito da Freud, da Stevenson, Wilde, Dostoevskij, Pirandello e sopratutto (in questo caso) da Svevo e Saramago.
Frequenti i riferimenti a Philip K. Dick e Asimov, per quanto il film di Oliver abbia il notevolissimo pregio di non farlo quasi notare, di vivere di luce propria e spingersi verso un confine assolutamente e squisitamente autonomo per quello che riguarda l’iter narrativo e l’universo di riferimento.

Jonathan: il film di Bill Oliver porta ai massimi livelli il concetto di doppio

Tutto parte dalla vicenda di Jonathan e John (Ansel Elgort), due fratelli che vivono nella stessa casa, nello stesso appartamento… e nello stesso corpo. Si perché il loro caso è quello di due persone, due anime, due esseri assolutamente distinti che abitano nello stesso contenitore, ma che sono per caratteristiche e natura assolutamente agli antipodi.
E non si tratta, si badi bene, di schizofrenia o bipolarismo, ma proprio di due persone che, tramite una nuove tecnologia neuronale inventata dalla Dottoressa Mina Nariman (Patricia Clarkson) si dividono a metà la giornata. Jonathan dalle 7 del mattino alle 7 della sera, John invece ha le ore notturne.
Jonathan è timido, perfezionista, introverso, profondamente insicuro ed ansioso per ciò che riguarda le donne e la vita sociale in generale, ma è dotato di uno straordinario talento e determinazione come progettista e sogna di fare l’architetto.
John invece è ribelle, espansivo, carismatico, ama lo sport e ha una vita sociale intensa. I due fratelli per vedersi e stare assieme si lasciano dei videomessaggi raccontandosi la giornata, i sogni, le ambizioni… hanno delle regole severe riguardanti pulizia, cura del corpo, sincerità e soprattutto l’assenza di donne nella loro vita data l’impossibilità di avere un’esistenza “normale”.
Ma tutto cambia quando John incontra in un bar la bella Elena (Suki Waterhouse) che sconvolgerà l’esistenza dei due fratelli e porterà la convivenza ad una svolta drammatica e radicale.

Jonathan: due persone nello stesso corpo, ma non è bipolarismo, solo tecnologia!

Jonathan Cinematographe.it

Jonathan si erge in tutta la sua potenza espressiva grazie ad una regia di Bill Oliver che rifiuta e rinnega i ritmi serrati e ossessivi da videoclip dei giorni nostri, sa modificare ritmo e intensità ma non rinnega mai la volontà di andare nel dettaglio, di fare di ogni scena un microcosmo narrativo dove il silenzio, il movimento di macchina, sono in tutto e per tutto al servizio del protagonista, non del pubblico.
In questo risulta assolutamente perfetta la congiunzione tra la fotografia di Zach Kuperstein e il montaggio di Tomas Vengris, che creano un universo visivo che evita sempre di confondere, far perdere lo spettatore, e allo stesso tempo sorprendono, affascinano, rendono l’insieme ad un tempo familiare e nuovo.
Il racconto si snoda in un’atmosfera dove gli spazi chiusi la fanno da padrone, dove si ha sempre l’impressione anche all’esterno di non esser usciti dalla strana e fredda dimora dove i due fratelli portano avanti la loro esistenza.

Jonathan, in cui Ansel Elgort ci regala una performance sensazionale, sa non essere mai banale

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Su tutto e tutti però domina la profondità della scrittura di Gregory Davis, Peter Nickowitz e dello stesso Bill Oliver, capaci di creare non solo una storia sorprendente, fantasiosa e mai banale, ma di approfondire e rendere incredibilmente vicino allo spettatore il dramma dei due protagonisti.

Jonathan riesce nel miracolo di calibrare in modo perfetto la narrazione con lo sviluppo psicologico, di non scivolare mai nello scontato, nel già visto, di abbracciare tematiche tra le più diverse e disparate.
Il concetto di identità ed empatia, quello di responsabilità scientifica, di scelta, di felicità personale nella società moderna, toccando anche temi come la paternità e il rapporto inconscio con ciò che vogliamo essere, con la società performatrice dei nostri giorni.
Il film non solo appassiona, ma anche confonde lo spettatore, che in diversi momenti non sa dalla parte di chi stare, avverte la dolorosa contrapposizione tra notte e giorno, tra due lati di quello che potrebbe essere uno stesso essere.
Si odono echi della classicità, della mitologia, del fratello alter-ego, dei desideri e delle invidie mai sopite e odiate-amate allo stesso tempo.
Quella che sembra una ricerca della verità, della personalità, trascende verso il significato ultimo di noi stessi, del nostro rapporto verso chi amiamo, verso il futuro, l’ambiente che ci circonda.

Jonathan Cinematographe.it

Non c’è un nemico perché non c’è nessuno da combattere se non la realtà, la vita, che in tutte le sue contraddizioni emerge dal potente sguardo di un Ansel Elgort sensazionale, umano, naturale e bravissimo nel non esagerare, nel restare sotto le righe, sottotraccia, credibilissimo nel donare il suo algido ma penetrante sguardo a due personaggi agli opposti.
Naturalezza nell’eccezionalità, così si potrebbe definire la sua performance, così come quella di una bravissima Patricia Clarkson e anche della Waterhouse, per una volta slegata dalla sua metrosessualità e resa ragazza comune, di tutti i giorni, della porta accanto.
Jonathan è un piccolo, grande film, che conquista con la sua struggente unione tra film di formazione, fantascienza ed esistenzialismo. Un piccolo gioiello che speriamo venga riconosciuto da critica e pubblico come merita.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.8