Bifest 2021 – Juniper: recensione del film con Charlotte Rampling
Juniper - opera prima di Matthew J. Saville - racconta di un conflitto generazionale benedetto dall'alcol. Affidando la narrazione ad una coppia d'attori assolutamente perfetta.
Dirigere un’opera prima non è impresa facile. Ma Matthew J. Saville con Juniper – pellicola presentata in concorso al Bif&st 2021 nella sezione anteprime internazionali – centra perfettamente l’obiettivo.
Sam (George Ferrier) è un adolescente frustrato e autodistruttivo. Ruth (Charlotte Rampling) – sua nonna – una donna forte e tenace, con una dipendenza dal gin e dai modi spesso spiazzanti e brutali. Rientrato a casa dal collegio, Sam scopre che Ruth si è trasferita lì. Il rapporto, inizialmente conflittuale, fra i due diventerà ben presto l’occasione per entrambi di scoprire e accettare nuovi lati della vita (e della morte).
La trama alla base del film non è di certo fra le più innovative. Il tema del conflitto generazionale – acuito e accentuato dalla forte personalità dei protagonisti – è stato infatti fin troppo spesso usato ed abusato. Ma Saville – qui nella veste anche di sceneggiatore – riesce ad attualizzarlo e a trattarlo in maniera mai banale.
Juniper – Un conflitto generazionale benedetto dall’alcol
Il punto di forza della pellicola risiede sicuramente nel cast. Charlotte Rampling e George Ferrier, infatti, si dividono lo schermo in maniera naturale ed equilibrata, dando vita ad un rapporto del quale si riescono a ricostruire tutti i passaggi e le tappe, dalla non sopportazione e dalla diffidenza fino al volersi bene e al comprendersi. Comprensione che passa – inevitabilmente – dalla conoscenza del passato dell’altro e dalla scoperta delle motivazioni che lo hanno portato a diventare la persona che è attualmente.
Ruth riesce a farsi spazio nella vita del nipote mettendosi al suo livello e tenendogli testa. E riuscendo a sfruttare la propria dipendenza – fisica ed emotiva – a suo vantaggio. Il gin, infatti, benedice e rende possibile, almeno inizialmente, questa complessa relazione.
È l’alcol il motivo per il quale gli amici di Sam decidono di sistemare il giardino della casa e di avvicinarsi all’anziana ed è sempre l’alcol il motivo per il quale Ruth e Sam riescono ad avere una conversazione sincera per la prima volta.
Il gin, inoltre, diviene il correlativo oggettivo e visivo del loro rapporto. Da un gin annacquato e preparato male per dispetto, si passa ad un drink reso perfetto dalle cure e dall’affetto che Sam inizia a provare per sua nonna.
Sentimenti che finiranno per ridare vitalità e speranza non solo ad entrambi ma anche al padre di Sam e all’infermiera di Ruth, coinvolti in questa avventura e in questa relazione dall’inaspettato potenziale emotivo.
Regia e sceneggiatura, infatti, confezionano il film scongiurando il pericolo di cadere in facili e retorici cliché. Non manca qualche ingenuità, dovuta forse alla natura di opera prima della pellicola, ma l’impianto narrativo resta solido e coerente, fino ad un epilogo forse prevedibile ma ugualmente di grande impatto.
Sam e Ruth conservano la propria personalità e la propria individualità sino alla fine, muovendosi in un terreno conosciuto e attraversando gli stilemi tipici del genere in maniera naturale. I ruoli di mentore ed allievo, che spesso sono ricoperti dai soggetti implicati in un conflitto generazionale, si stemperano attraverso una solida caratterizzazione dei personaggi, che non svela completamente la natura dei protagonisti ma che lascia intendere quanto basta sul loro passato e sulle loro scelte. Ed è per questo che – nonostante l’opera non sia basata su spunti originali – la storia regge, funziona e commuove.
Juniper – Una storia forte calata in una realtà ben costruita
Ma se la vicenda di Ruth e Sam si muove attraverso un percorso in parte già tracciato, il contesto in cui la narrazione viene calata è piuttosto inusuale. Non ci troviamo infatti in qualche paesino dell’America o in qualche sobborgo londinese, ma sperduti negli sterminati paesaggi della Nuova Zelanda.
Contesto sociale che rimane sullo sfondo ma che risulta ugualmente ben delineato, in grado di rendere la narrazione al tempo stesso universale e impossibile da immaginare in altri luoghi. Luoghi che vengono valorizzati al meglio dalla fotografia, complice anche la naturale bellezza che li contraddistingue. Le lunghe inquadrature di campi infiniti o di albe dai colori tenui – spettacolo sempre caro a Ruth – conferiscono alla pellicola un respiro più ampio e concedono allo spettatore di prendersi una pausa dal ritmo serrato e incalzante del rapporto fra nonna e nipote.
Juniper, quindi, si rivela essere un’interessante debutto, capace di rimanere in bilico fra grandi temi universali e piccole vite quotidiane, alla costante ricerca di una propria identità, distante da ciò che già di simile è stato raccontato, ma capace di inglobarlo al suo interno senza lasciarsene influenzare. E regalando al grande schermo una coppia difficile da dimenticare.
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