Jurassic World: recensione
Ventidue anni fa il miliardario americano John Hammond ebbe un sogno, riportare in vita i dinosauri creando il parco dei divertimenti più avanzato del mondo intero. Ventidue anni fa Steven Spielberg scriveva una della pagine più belle della storia del cinema dell’ultimo trentennio, imprimendo di fatto nella mente di tutti noi cosa voglia dire la parola dinosauro. Perchè chi per una volta, anche sbadatamente, non ha pensato a un dinosauro figurandolo con quelli magistralmente creati da double S? Tutti almeno una volta ci siamo emozionati davanti la maestosità del brachiosauro o alla ferocia distruttiva del T-Rex e adesso, dopo due sequel (The Lost World del 1997 e Jurassic Park III del 2001) il parco a tema più famoso del mondo riapre i battenti, con più attrazioni, più divertimento e più paura.
Quattordici lunghi anni di lavorazione, cancellazioni, ritardi, rimandi e problemi hanno accompagnato l’uscita nei cinema di questo quarto capitolo della saga di Steven Spielberg, l’attesa dei fan è diventata sempre più palpabile e il grande pubblico non tarderà a riempire nuovamente le sale cinematografiche, proprio come successe nell’ormai lontano 1993. La nascita di Jurassic World è stata lenta e travagliata, accompagnata da una lunga fase di pre-produzione, con la squadra che ha lavorato duramente per ricreare la stessa magia e lo stesso stupore dell’originale, il cambio al timone del film si è visto e si è avvertito, già dal 2001 con Johnston per poi arrivare all’attuale Colin Trevorrow. Era difficile, difficilissimo per non dire impossibile, ripercorrere le orme e la grandezza del primo film, ma diciamo che per una buona ora la stella del Jurassic World brilla in maniera fulgida e luccicante, accompagnata da una colonna sonora in parte originale (composta da Michael Giacchino) in parte classica, sempre in tono con la maestosità dei piani sequenza di Isla Nublar. Una fotografia splendida e una scenografia maestosa ci fanno perfettamente immedisimare all’interno del parco a tema giurassico gestito ora dalla Masrani Corporation.
La trama, per certi versi, ricalca molto quella di Jurassic Park, dove il sogno di John Hammond, in questo caso, diviene realtà. Il parco dei divertimenti di Isla Nublar apre le porte ai suoi visitatori, che si accostano alle ventiduemila presenze nette giornaliere. Ma come sappiamo, un parco così grande ha bisogno di grandi investimenti e grandi cure. Questi sono due dei motivi per cui il team di genetisti della Masrani, capeggiato dal Dott. Henry Wu (DB Wong, lo stesso genetista della InGen del primo film di Spielberg) decide di creare qualcosa di nettamente più grande e spaventoso, oltrepassando i confini della scienza fino a quel momento applicata. La creazione in laboratorio di un dinosauro ibrido chiamato per l’appunto Indominous Rex cercherà di far risollevare le sorti finanziarie del parco, in pesante ribasso dopo che il pubblico si è abiutato all’esistenza ormai accertata di dinosauri. Ma giocare con la natura ha i suoi rischi e tutto il parco verrà messo a dura prova: riusciranno gli ospiti del Jurassic World a uscire vivi dall’isola anche grazie all’aiuto del guardiacaccia del parco Owen Grady (Chris Pratt)? Una domanda che rimane insoluta e aspetta risposta solo dopo la visione del film.
Trevorrow ha cercato in tutti i modi di riportare il parco ai fasti del 1993 inserendo un animale completamente inendito nella saga ma, come spesso accade quando si vuol fare forzatamente colpo sul pubblico, qualcosa non ha pienamente funzionato. I fattori classici sono stati mixati con idee che da anni si rincorrevano in rete tra smentite e false conferme, creando di fatto non poco malcontento tra i fan. La suddivisione in tre atti del film è chiara e palese e se nei primi due atti la pellicola riesce a estasiare nell’ultimo atto si ha un vertiginoso calo qualitativo, ma non di emozione. Il bestione creato in laboratorio fa della ferocia e della letalità le sue due armi principali, ma dovrà vedersela con un bravissimo Chris Pratt e un’altrettanto brava Bryce Dallas Howard, la Claire Dearing responsabile della sicurezza nel parco. Un vero peccato che il finale del film cali pesantemente in qualità ma non possiamo negare che il film non dia una dose alta, altissima di adrenalina. In tutti i suoi 124 minuti nessuno riesce a distrarsi nemmeno per un secondo, un po’ ammaliati dalle spettacolarità dell’isola un po’ in preda al panico alla vista dell’Indominous Rex, reso ancora più spaventoso dalla straordinaria resa del 3D stereoscopico, che ahimé mancò al povero Steven Spielberg nel 1993.
Jurassic World è un buon film che riesce ad emozionare grandi e piccini, fan e non per l’altissimo tasso di spettacolarità delle sue scene, rimanendo però molto lontano alla grandezza del primo (inarrivabile) ma gettando di fatto le basi per la creazioni di un qualcosa di ibrido. Ventidue anni dopo siamo ancora lì, a guardare questi splendidi animali, mentre un brivido ci corre lungo la schiena alla vista delll’effigge più rappresentativa della pellicola, posta su una porta e illuminata da sei fiaccole: Jurassic World.