Kanarie (Canary): recensione del film
Recensione del film Kanarie (Canary), diretto da Christiaan Olwagen, che affronta il tema dell'omossessualità e del razzismo nel Sud Africa degli anni '80.
Kanarie (Canary), il dramma musicale sudafricano di Christiaan Olwagen, inizia come un videoclip anni ’80 con un ragazzo di una piccola città vestito con un abito da sposa che imita il celebre Boy George, mentre canta e balla per le strade insieme ad alcuni amici che lo seguono a tempo.
Presentato in anteprima al Giffoni Film Festival 2019 nella categoria +18, questo piccolo grande film racconta la storia di Johan Niemand (Schalk Bezuidenhout), un appassionato di musica che vede i suoi sogni svanire quando viene chiamato per il servizio militare appena raggiunta la maturità. Assunto nel coro della Chiesa della Forza di Difesa “Canaries”, Jonah e altri suoi coetanei cominciano a viaggiare per il paese, dividendosi tra l’addestramento militare e le performance canore davanti a un pubblico selezionato.
Siamo nel 1986 e in Sud Africa la legge e la religione minacciano l’individualità. Johan incontra spiriti affini, bulli e fanatici, ma le cose si complicano quando si rende conto di essere omosessuale e non accetta la sua condizione, condannata dalla società del paese in cui vive.
Ludolf (Germandt Geldenhuys) è il ragazzo appassionato di opera che ruba il cuore di Johan e lo spinge a fare i conti con la sua vera natura. La loro intimità tenera e contrastata guida il film, mentre nella mente e nell’anima del protagonista si fanno strada il disgusto e la confusione. Egli non può resistere all’attrazione e al sentimento che prova per Ludolf, ma la famiglia e la realtà in cui è cresciuto gli suggeriscono che è una cosa sbagliata, qualcosa che deve reprimere per il suo bene.
Kanarie (Canary): un film sugli anni ’80 in un Sud Africa diviso dall’Apartheid
Olwagen costruisce un film emozionante e personale, unendo un’amara consapevolezza a un grado di esuberanza, data soprattutto da alcuni voli di immaginazione musicale che animano il film e lo colorano di un’atmosfera pop. Guidando il pubblico attraverso l’esperienza in prima persona del protagonista, la regia risulta moderna, originale e creativa. Sullo sfondo è chiara la riflessione sulla politica razzista del Sudafrica di quegli anni e il modo in cui Johan naviga in questo territorio difficile è gestito con calore, autenticità e spina dorsale, grazie alla sceneggiatura scritta dal regista in collaborazione con Charl-Johan Lingenfelder.
Kanarie evita di ridursi a semplice melodramma lasciando spazio a una sottile tensione, un delicato ma efficace simbolismo, brani musicali ben noti al grande pubblico e momenti di pura fantasia che donano una dimensione surreale alla storia. La forza motrice del film, tuttavia, è il protagonista Bezuidenhout, una star della commedia sudafricana che ricorda vagamente un Adam Sandler alle prime armi o un Buster Keaton di nuova generazione, con quella malinconia nello sguardo che non gli vieta di lasciarsi andare all’ironia. Il suo personaggio vive un’evoluzione emotiva e una crescita personale fondamentale, e lui gestisce tutto questo con assoluta naturalezza e cuore.
Anche la colonna sonora ha la sua rilevanza, soprattutto per la sua capacità di unire ritmi pop con brani della tradizione e canti religiosi rivisitati attraverso arrangiamenti ben calibrati e funzionali al racconto. Non si può definire Kanarie propriamente un musical, ma piuttosto un esperimento di un regista ambizioso che vuole proporre qualcosa di nuovo che convince, coinvolge e aggiunge sicuramente qualcosa di diverso al panorama cinematografico internazionale.
Dopo essere stato applaudito già in molti festival in tutto il mondo non ci resta che sperare che Kanarie arrivi nelle sale italiane il prima possibile.