Ken il guerriero – Il film: recensione del classico d’animazione
Da Nexo Studios e Yamato Video, una delle saghe anime più amate di sempre arriva al cinema il 14, 15 e 16 ottobre 2024. Ken il guerriero - Il film viene presentato (per la prima volta sul grande schermo) in versione ridoppiata e restaurata.
Due anniversari da celebrare. Quarant’anni dalla messa in onda in Giappone del primo episodio della serie tratta dal celebre manga scritto da Buronson e disegnato da Tetsuo Hara. Quasi quaranta, trentotto per la precisione, dall’uscita in sala. Uscita in sala? No, non è esatto, almeno dalle nostre parti. Ken il guerriero – Il film arriva nei cinema italiani in versione ridoppiata e restaurata per tre giorni, il 14, 15 e 16 ottobre 2024, distribuisce Nexo Studios in collaborazione con Yamato Video nel quadro della Stagione degli Anime al Cinema. È un grande ritorno e una prima volta perché il film, regia di Toyoo Ashida, in Italia c’era arrivato ma soltanto in VHS, parzialmente censurato e con un doppiaggio poco apprezzato. Non è un caso che il debutto sul grande schermo arrivi proprio ora. L’animazione giapponese non è più il patrimonio di culto di una nicchia di appassionati ai margini del mainstream, imponendosi come forza culturale semplicemente inarrestabile, come confermano gli ottimi riscontri di pubblico che hanno caratterizzato diverse analoghe iniziative. Forza culturale inarrestabile e non è un’esagerazione; un po’ come il forzuto protagonista, Kenshiro. In realtà, quando lo incontriamo per la prima volta, è parecchio malconcio e giù di morale.
Ken il guerriero – Il film: storia di un uomo, di un amore e di un mondo oscuro in cerca di speranza
Non ha tutti i torti a sentirsi depresso. Le cose sulla Terra vanno male. Ken il guerriero – Il film comincia a un certo punto del tardo XX secolo, una fine d’epoca che, più fosca di così, non è possibile immaginarla. Il film ha fretta, capisce che non è il tempo di inutili digressioni e va dritto al punto. È la proiezione, riletta e deformata – un esorcismo anime – dell’incubo più temuto dalle nervose coscienze degli anni ’80, quello da cui non si torna indietro neanche volendolo: l’olocausto atomico. La deflagrazione dell’arsenale nucleare delle principali potenze ha succhiato la vita dal pianeta. Non più laghi, mari, fiumi, foreste. Le città sono un cumulo di macerie, nel mezzo solo infiniti deserti, poche risorse e una guerra senza esclusione di colpi tra i sopravvissuti all’insegna dell’abuso e della sopraffazione. Bastano pochi incisivi tocchi, alla regia di Toyoo Ashida, per disegnare un mondo che, più per necessità che per scelta, ha messo al bando la felicità e la speranza.
Tutto questo, a Kenshiro, interessa relativamente. Forzuto guerriero, prodigio delle arti marziali e maestro della Divina Scuola di Hokuto, finché ha al suo fianco la donna che ama, Julia, sopporta qualunque avversità. L’armonia si spezza presto. Shin, ex amico, quasi un fratello per Ken, affiliato alla Sacra Scuola di Nanto, lo ferisce mortalmente e rapisce Julia; per amore di Ken la donna accetta di separarsene, considerandolo l’unico modo di salvargli la vita. Basta il preambolo a definire i contorni della mitologia e a inquadrare motivazioni e necessità dei personaggi: un ossessivo bisogno di vendetta, una promessa d’amore tradita e un mondo allo sbando, divorato dalla violenza e dalla disperazione. Distopia da manuale, insomma. Ma c’è anche la speranza di un nuovo inizio. Ken risorge dalle sue ceneri, deciso a ritrovare Julia e a contrastare quelli che ostacolano il suo cammino.
Nello spettro morale della storia, i buoni e i cattivi si allineano con una certa facilità. Fa eccezione il solo Shin, cui Ken il guerriero – Il film regala un’interiorità oscillante tra gli estremi del tradimento e un paio di provvidenziali rigurgiti di coscienza. Per gli altri, gli schieramenti sono stabiliti in partenza. Ken dovrà vedersela con le serpi in seno, i fratelli-nemici Jagger e, soprattutto, il temibilissimo Raul. Al suo fianco c’è Rei, della Scuola di Nanto – è come Shin ma con un’anima, roso da un feroce bisogno di vendetta – e due giovani alleati, Bart e Lynn. Tocca a Lynn sollevare la storia dalle secche grigie e deprimenti della furia cieca e della violenza a tutti i costi, per portarla al livello superiore: la ricerca della speranza in un mondo che ha smesso di sognare. Ken il guerriero – Il film è la storia di un gigante e una bambina. E di un vaso e di un fiore. Delicatezza e morte violenta; questi gli estremi. Il film si sistema nel mezzo e cerca di tirare fuori il meglio dall’insolito accostamento degli opposti.
Film di ieri, che non stona con il mondo e il cinema di oggi
Il senso del ritorno in sala – e ritorno non è, ma poco importa – di Ken il guerriero – Il film è un’intelligente e calcolata operazione nostalgia, che sfrutta l’onda lunga del successo dell’universo anime per valorizzare la spendibilità commerciale di storie considerate a lungo (e a torto) una nicchia per pochi appassionati cui non era concesso di veder espanso, oltre un certo limite, l’orizzonte di pubblico. Il XXI secolo, paradossalmente, è un posto molto più accogliente per Kenshiro rispetto al mondo e al tempo che l’ha prodotto. C’è una disponibilità diversa, c’è un rispetto – lo conferma al qualità del percorso di doppiaggio e restauro – di stampo filologico per l’integrità e la validità artistica del progetto che forse prima non c’era, o faticava a esprimersi coerentemente.
Quarant’anni dopo, di Ken il guerriero – Il film colpisce la capacità di respirare lo spirito del tempo e di appropriarsene senza diluire la propria identità. L’azione muscolare e frenetica, nelle movenze felpate e nel protagonismo fisico del protagonista, richiama tanto cinema d’arti marziali del periodo, a partire dalla stella polare, mr. Bruce Lee in persona. E il lavoro sull’atmosfera, post-apocalittica e dannatamente opprimente, è un tributo e un abbeverarsi alla sorgente del cinema del giorno dopo, che proprio in quegli anni ’80 trionfava con l’immaginario polveroso e incredibilmente suggestivo di George Miller e dei primi tre Mad Max. Oltre i riferimenti cinefili e i combattimenti all’ultimo sangue, più dell’azione esasperata e sopra le righe, è l’atmosfera – il senso di fine incombente e la speranza che si fa strada nonostante tutto – a definire il dna del film. In uno stimolante intreccio di originalità e debito d’ispirazione.
Lontano dall’eleganza e dalla densità estetico-tematica del capolavoro assoluto Akira (1988) – il film che più di ogni altro contribuì a guadagnare al mondo anime una considerazione artistica commerciale diversa, più ampia – Ken il guerriero – Il film è un felicemente sboccato, pirotecnico ritratto di passioni infuocate e destino avverso, una storia di tenebre e di luce in fondo al tunnel, a metà strada tra la perversa brutalità del combattimento all’ultimo sangue e la delicatezza di un sentimento, di una visione e di una speranza. Cinema squilibrato in cui non fila tutto esattamente come dovrebbe ma incredibilmente vitale, spettacolare e capace di influenzare, per il meglio, tanta animazione a venire.
Ken il guerriero – Il film: conclusione e valutazione
Post-apocalittico, post-western, (quasi) fantascienza, spiritualità e afflato fantasy mescolati a visioni distopiche e realismo brutale, Ken il guerriero – Il film è cinema anime all’ennesima potenza: ritmo indiavolato, emozioni forti, estetica d’impatto e sentimento. Cinema d’atmosfera e action adrenalinico sono le coordinate di una storia e il profilo di un protagonista saldamente ancorati al pantheon della moderna cultura popolare. L’arrivo in sala dopo quasi quarant’anni è l’occasione per riscoprire personaggi e mondi molto amati, o per misurare l’ebbrezza della prima volta.