Kill Bill: recensione
Il genere di nicchia, per definizione, è qualcosa al di fuori del mainstream, al di là delle grandi folle. Negli ultimi anni però abbiamo avuta una rivalutazione dell’intero panorama del cinema al di là del blockbuster, quelle pellicole catalogate inesorabilmente come serie B, che a guardarle uno doveva quasi vergognarsi. La rivincita, se così possiamo definirla, è stata guidata da Quentin Tarantino. Parlare di Tarantino può essere molto facile o molto difficile. Se la intendiamo semplice, è un genio che non sbaglia un colpo, gira film assurdi con personaggi sopra le righe e la gente va a vederli, basta che il suo nome sia impresso su qualsiasi cosa per renderla d’oro, “fa i film fighi con le fighe che ammazzano gente, è bellissimo”. Diventa difficile se pensiamo perché? Perché Tarantino è un genio? Cosa rende i suoi omaggi ai B- movie meravigliosi?
La risposta va cercata nel film che l’ha lanciato verso le grandi masse, ovvero quel Kill Bill (inteso come SINGOLO film di 5 ore. Si è un unico film, che vi piaccia o meno) che ha fatto si che anche chi non avesse mai visto Pulp Fiction o Jackie Brown (eresia) si rendesse conto del suo talento.
La trama come in tutte le cose geniali, è semplicissima, anche banale se vogliamo. Una ex killer decide di ritirarsi e di mettere su famiglia. Il suo ex capo non ci sta e decide di ucciderla durante le prove del suo matrimonio, ma lei sopravvive ed entra in coma per anni. Al suo risveglio decide di vendicarsi contro tutti e uccidere il suo boss, Bill. Kill Bill, appunto.
Parlare tecnicamente del film è inutile, così come per i vari significati sulla trama, stiamo discutendo di un genio. Quello che invece è interessante è analizzare come Tarantino mischi tantissimi generi in 5 ore di film con un’armonia ed una fluidità tale da essere quasi estatica. Le contaminazioni e le citazioni, come in ogni suoi film, sono innumerevoli, e passiamo da uno spaghetti western ad un film cappa e spada di taglio giapponese, ai wuxia cinesi senza che si abbia mai la sensazione che qualcosa sia fuori luogo.
Il vero tocco di genio è il ritmo che il film prende, partendo a razzo nella prima parte, con personaggi giusto abbozzati ed un tripudio di scene d’azione, ad una seconda parte dove piano piano il ritmo cala, fino ad azzerarsi in una scena finale che riassume l’intero film e la poetica dei protagonisti, messi ora in primo piano rispetto alla storia . Questa scelta geniale ha fatto si che il film fosse godibile per tutta la durata, in quanto se avesse continuato per 5 ore a botte e mazzate sarebbe risultato indigesto, quasi imbarazzante.
Il film è da vedere, punto. Non ti fa sentire in colpa per avere visto i film di Bruce Lee e di spadate e magari introduce alla visione di Tarantino, che se con Django e Bastardi senza Gloria conferma il suo genio, magari vi farà venire voglia di vedere Le Iene, Jackie Brown e Pulp Fiction.