Kill Command: recensione del film di Steven Gomez
La recensione del fanta-action britannico dell’esordiente Steven Gomez con Thure Lindhardt e Vanessa Kirby. Uno sparatutto disponibile nel pacchetto cinema di Sky incentrato sul classico sconto uomo-macchina.
La “bulimia” audiovisiva di queste lunghe e interminabili settimane di quarantena ha trovato libero sfogo nello zapping selvaggio sul piccolo schermo e sulle numerose piattaforme esistenti. Il tutto alla più o meno disperata ricerca di prodotti seriali o film di ogni sorta che potessero farci compagnia. Tra quelli che avevano stuzzicato la nostra curiosità quel tanto da convincerci ad accedere al pacchetto cinema dell’app di SkyGo figurava anche Kill Command, un fanta-action battente bandiera britannica firmato da Steven Gomez nel 2016. Una pellicola, questa, che sinossi alla mano sulla carta, nonostante non fosse di primo pelo, sembrava possedere nel proprio DNA quella dose di adrenalina che in molti – noi compresi – cercavamo per dare una scossa alla routine da divano. E per assecondare tale necessità abbiamo deciso di recuperare l’opera prima del regista inglese, conosciuto tra gli addetti ai lavori principalmente per la sua attività nel campo dei visual effects.
Kill Command: il classico scontro uomo-macchina senza esclusione di proiettili
Una volta premuto il tasto del play ci siamo ritrovati in un prossimo futuro al seguito di una squadra di marines scelti, guidati dal Capitano Bukes, inviata per un addestramento di routine su un’isola remota e sconosciuta da cui si sono interrotte tutte le comunicazioni. Fa parte della missione anche il tecnico specializzato Mills, una misteriosa programmatrice informatica il cui cervello è interfacciato direttamente coi computer. Una volta raggiunta l’isola, l’addestramento si rivela tutt’altro che di routine: Bukes e i suoi si ritrovano infatti a dover fronteggiare un’orda di terrificanti robot militari di ultima generazione. E anche se Mills sembra essere coinvolta nella cospirazione, avranno bisogno della sua tecnologia per uscirne vivi. Come e in quanti riusciranno a riportare la pelle a casa lo lasciamo alla visione, quello che possiamo anticipare a coloro che hanno intenzione di scoprire come andrà a finire, è che la caccia all’uomo non andrà tanto lontano dalla solita mattanza. Del resto, la Storia della Settima Arte ci ha più volte mostrato come certe situazioni non possono avere un lieto fine, con un prezzo da pagare in termini di vite che è sempre molto alto.
Una concatenazione piuttosto prevedibile e codificata di eventi che porteranno i superstiti al pirotecnico showdown
Epilogo a parte, è piuttosto semplice fare dei pronostici poiché il modus operandi seguito dall’autore sin dalla fase di scrittura crea nello spettatore di turno non pochi déjà-vu. Il risultato è la classica lotta per la sopravvivenza che Gomez mette in scena nei tre scenari principale dell’isola: la giungla, il campo base e l’area di addestramento metropolitana. Ciò determina una concatenazione piuttosto prevedibile e codificata di eventi che porteranno i superstiti al pirotecnico showdown, laddove il baricentro drammaturgico del film, ossia l’ennesimo capitolo dello scontro tra uomo e macchina avrà il suo epilogo, con tutto il carico di argomentazioni psuedo-filosofiche e teoriche annesse. Ma non aspettatevi tutte quelle elucubrazioni alle quali operazioni analoghe, decisamente più stratificate e che chiamano in causa pro e contro dell’intelligenza artificiale (vedi Ex_Machina di Alex Garland), ci hanno abituato. Nel caso di Kill Command navighiamo piuttosto nelle acque di pellicole più terra terra come Humandroid di Neill Blomkamp o la trilogia di Universal Soldier.
Uno sparatutto di puro intrattenimento scandito da conflitti a fuoco più o meno efficacemente coreografati
Preso atto della esigua e basica consistenza del racconto, alleggerito in larghissima parte dal peso specifico di argomentazioni più consistenti e rilevanti, Gomez ha puntato tutto sulla morale che vuole il fattore umano determinante ai fini della scatto della creatura vivente nei confronti di quella artificiale. Fattore che ovviamente sarà decisivo nel momento della resa dei conti tra ciò che resta del plotone di marines e l’esercito di robot (ri)programmati per fare tabula rasa. Allo spettatore non resta che accontentarsi di uno sparatutto di puro intrattenimento che ricorda Metal Gear Solid, scandito dal progressivo sali e scendi di conflitti a fuoco più o meno efficacemente coreografati sul piano balistico e dinamitardo. Il peso della bilancia si sposta dunque sul mostrare più che sul raccontare, con l’azione che prende il sopravvento sulla narrazione.
Ciò che resta della fruizione è a conti fatti un centinaio di minuti di combattimenti per gli amanti dell’azione a buon mercato e dell’artigianato di serie b, tra imboscate, tiro a segno e fughe spericolate nelle diverse ambientazioni, alle quali si prestano con spirito di sacrificio interpretativo un gruppetto di attori noti (Thure Lindhardt e Vanessa Kirby) e di semi-sconosciuti.