Killers Anonymous: recensione del thriller con Gary Oldman

La recensione di Killers Anonymous del 2019, il nuovo thriller di Martin Owen, con un cast corale guidato dalle presenze di Gary Oldman, Jessica Alba e Tommy Flanagan.

Killers Anonymous è il terzo lungo di uno dei nuovi volti del cinema British, il regista/attore/sceneggiatore londinese Martin Owen (nato Owen Clemmet).
La formula è la stessa, le dimensioni sono raddoppiate. Owen dirige un altro thriller dai toni comici, recita in un suo cameo e scrive la sceneggiatura, quest’ultima cosa la fa insieme a Seth Johnson e alla solita Elizabeth Morris, che torna per l’occasione anche davanti alla macchina da presa, ma se nell’ultima pellicola era accompagnata dai già ben noti Mischa Barton e soprattutto Dave Bautista e Danny Trejo, stavolta a farle compagnia trova Gary Oldman, Jessica Alba, Tommy Flanagan, Myanna Burning e Tim McInnerny, oltre che a tanti altri volti meno noti.
Il film è uscito nelle sale statunitensi il 28 giugno 2019 distribuito da Lionsgate e Grindstone Entertainment Group.

La trama di Killers Anonymous 

La Killers Anonymous è una delle associazioni internazionali più importanti del mondo, la sua funzione è quella di organizzare e coordinare gruppi di supporto per serial killer, nel tentativo di trattare la loro “tendenza ad uccidere”, e la sua arma è la segretezza, totale, assoluta e da mantenere a qualsiasi costo.

Quindi cosa succede quando in una delle loro sedute di gruppo si presenta una ragazza che nessuno degli altri membri ha mai visto prima? E cosa succede se “altri membri” vuol dire una stanza piena di altri assassini con i nervi a fior di pelle? E se per caso la cosa avvenisse nel giorno in cui a Londra è stata emessa la legge marziale ed è in corso una sfrenata caccia all’uomo per l’assassinio del principale candidato alla presidenza degli Stati Uniti?
Magari nulla di grave. Ma se anche l’uomo a capo dell’organizzazione si è scomodato dall’America per sorvegliare la seduta allora qualcosa bolle sicuro in pentola.

Un po’ tutto un po’ niente

Killers Anonymous, cinematographe.it

Sicuramente Martin Owen si è divertito ad immaginare Killers Anonymous, probabilmente anche a scriverlo e a girarlo, ma forse una prima visione totale gli è bastata a capire che non proprio tutto ha funzionato.

Il suo terzo film è un concentrato di tutto l’immaginario delle sue prime pellicole, condensato in una storia adattata per contenerle tutte e non pensata invece per brillare come un impianto a sé. Ogni singola sequenza del film straborda amore per il cinema e, in particolare, per il cinema da cui si è preso spunto, ma il risultato è stato quello di assistere ad un lavoro fatto e pensato da una persona che ha tenuto per se tante cose che voleva dire senza avere mai avuto l’opportunità di farlo, ma che quando c’è stata le ha dette tutte insieme, in modo mediocre, senza darle uno schema e un ordine logico. E, a dir la verità, dopo aver ascoltato tutto, ci si accorge che quello che aveva da dire non era poi neanche così tanto.

Questa pellicola tocca tanti immaginari diversi, dalla parte pomposa e kitsch dei film wannabe anni ’80 mischiato a un mix tra una buona dose di Guy Ritchie, un po’ di Tarantino, un fetta di film in una sola location, senza andare troppo lontano o scomodare chissà quali titoli, si può pensare a  7 sconosciuti a El Royale o Free Fire (anche se lì un senso narrativo c’era), per citarne due tra i più recenti. Il risultato è una minestra di tante cose, condite in maniera scialba, oscillando costantemente tra il plagio vero e proprio, toni inspiegabilmente seri o seriosi, approfondimenti psicologici immotivati, improbabili passaggi fumettistici, momenti splatter e fiumi di ironia a tutti costi.

Ma forse la cosa più grave è la ricerca spasmodica di simulare un coraggio espressivo, che in realtà manca proprio negli ingredienti che invece fanno la differenza in una pellicola d’autore, i quali rimangono invece esattamente uguali a quelli che il regista ha usato in precedenza, come l’uso dei colori, fermatosi al contrasto tra arancione e nero, l’uso delle luci, giocato sempre allo stesso modo, e la scrittura dei personaggi (inconsistenti, un po’ tutti) e dei dialoghi, improbabile e confusionaria, il che, capirete bene, in un film che vive solo di intreccio parlato, non è proprio il massimo.
Gary Oldman si vede poco, in quel poco che si vede è sufficiente, ma non ci si ricorderà della sua interpretazione, almeno si spera.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

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