Kimi – Qualcuno in ascolto: recensione del film di Steven Soderbergh
Presentato in concorso al 32° Noir in Festival e prossimamente su Sky Cinema, il nuovo thriller in epoca pandemica del regista statunitense scritto da David Koepp e interpretato da Zoë Kravitz.
Steven Soderbergh è senza dubbio uno dei registi più attivi, instancabili e stacanovisti tra quelli attualmente in circolazione alle varie latitudini. Dal suo folgorante esordio con Sesso, bugie e videotape, con il quale si è aggiudicato la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1989, salvo un periodo di stop tra il 2015 e il 2017, non ha mai mancato un appuntamento, marciando a ritmo di uno/due progetti l’anno. Il risultato è una filmografia vasta e variegata, alla quale si andranno ad aggiungere nel 2023 i sei episodi della miniserie Full Circle e il nuovo e forse conclusivo atto di Magic Mike. Non c’è da sorprendersi dunque che nemmeno gli anni della pandemia, che tra l’altro aveva profeticamente annunciato un decennio prima con il suo Contagion, lo hanno fermato, impedendogli di fare quello che più ama e che gli ha dato la notorietà a livello mondiale, ossia film. Nell’ultimo triennio, del quale ci portiamo ancora dietro pesanti strascichi, il cineasta statunitense ha confezionato pellicole come Lasciali parlare, No Sudden Move e Kimi – Qualcuno in ascolto, che ha avuto la sua anteprima italiana nel concorso del 32° Noir in Festival.
Kimi – Qualcuno in ascolto è firmato da un Soderbergh tuttofare, che lo vede impegnato sotto pseudonimo anche come produttore, direttore della fotografia e montatore
Il film in questione, che il pubblico nostrano potrà recuperare prossimamente sui canali Sky e NOW dopo l’uscita negli Stati Uniti in esclusiva su HBO Max il 10 febbraio 2023, fa parte di quella ampia fetta di lavori realizzati in completa autonomia da un Soderbergh tuttofare, che lo vedono impegnato sotto pseudonimo anche come produttore, direttore della fotografia e montatore. Kimi, scritto per lui niente meno che da David Koepp, è dunque l’ennesimo assolo tecnico-artistico che alla pari di opere come Bubble, The Girlfriend Experience o Unsane condivide un modus operandi ben preciso, che permette all’autore di confezionare prodotti dai budget più ridotti, liberi dai diktat delle Majors committenti, dove potere sperimentare soluzioni narrative ed estetico-formali nuove e diverse. Da questo punto di vista, l’ultima fatica dietro la macchina da presa ha molto in comune con il già citato Unsane, messo in piedi e in quadro con il medesimo processo produttivo, drammatugico e creativo, messo al servizio di un thriller ansiogeno ad alta tensione.
Agorafobia e Covid-19 sono gli ostacoli che rendono ancora più difficile il percorso verso la verità della protagonista di Kimi
Se nel film del 2018 aveva raccontato l’odissea di una giovane donna in carriera costretta a lasciare Boston per fuggire dalla minaccia oppressiva di uno stalker che la perseguita, in quello del 2022 ci porta al seguito di un’altra preda femminile di nome Angela Childs, un’operatrice tecnologica che implementa l’efficienza dell’assistente vocale battezzato Kimi e che durante una delle sessioni giornaliere coglie, per caso, l’audio di uno stupro con omicidio. Denunciato ai superiori l’accadimento, per lei ha inizio un vero e proprio inferno, reso ancora più traumatico dal fatto che soffre di agorafobia e che ci troviamo in piena pandemia di Covid-19. Quindi per far sì che sia fatta giustizia, la donna è costretta ad affrontare la sua fobia degli spazi aperti e mettere piede fuori dalla propria abitazione.
Un film nel quale il regista americano innesta tutte quelle che sono le sue ossessioni cinematografiche, alimentandone come di consueto con influenze hitchcockiane e depalmiane
A fare da sfondo all’odissea metropolitana di Angela, qui interpretata da una convincente Zoë Kravitz, da prima le topografie di un loft e poi le strade, gli uffici e i grattacieli di Seattle. Un In and Out che Soderbergh gestisce in maniera impeccabile, muovendo la macchina da presa a mano dotata di focale grandangolare per aumentare l’effetto di distorsione della realtà come un animale in gabbia quando è circoscritta tra le quattro mura dell’abitazione, per poi pedinare senza sosta la protagonista nelle sue disavventure all’aria aperta. Il risultato è un film nel quale il regista americano innesta tutte quelle che sono le sue ossessioni cinematografiche, alimentandone come di consueto con influenze hitchcockiane e depalmiane che lo portano spesso a omaggiare e non copiare questi e altri maestri della suspence che lo hanno preceduto. In Kimi c’è molto di loro e del loro cinema, così come di La conversazione di Francis Ford Coppola. Qui non è ciò che si è visto, ma ciò che si è sentito a creare problemi alla protagonista. Alle sue orecchie è arrivata sottotraccia la prova di un delitto, uno di quelli che deve restare impunito perché commesso dall’intoccabile di turno. Ecco allora che si scatena una caccia all’uomo sempre più tesa e al passo con i tempi, calata in una realtà psicotica che viene percepita, contemporaneamente, come futuro distopico e contemporaneità. Un modo per Soderbergh, filtrato attraverso la lente del cinema di genere, per materializzare davanti agli occhi dello spettatore ciò che abbiamo vissuto, che stiamo vivendo e ciò verso il quale ci stiamo dirigendo con il piede piantato sull’acceleratore.