L’uomo bicentenario: recensione del film con Robin Williams

Un’opera che mette insieme i più grandi valori dell’esistenza umana in perfetta alternanza e in lucida combinazione con i progressi della robotica, quei progressi che potrebbero rendere umani i robot e robot gli umani. Semplice e appassionante: L’uomo bicentenario.

L’uomo bicentenario è un film del 1999 di Chris Columbus e interpretato in maniera indimenticabile da Robin Williams.

La storia delle pellicola è basata sull’omonimo racconto di Isaac Asimov e sul suo  romanzo Robot NDR 113, scritto a quattro mani insieme a Robert Silverberg.

Andrew è uno dei primi prototipi di robot positronico (modello NDR-114, da cui il nome “Andrew”) che viene acquistato come domestico dalla famiglia Martin. All’inizio viene accolto con diffidenza ma poi pian piano grazie al Signor Richard (Sam Neill) diviene non solo uno di famiglia ma anche un beneficiario di diversi aspetti umani.

Andrew, infatti, sente di avere delle sensazioni e delle emozioni, percepisce la paura e ha uno spiccato senso dell’umorismo. Studia il comportamento degli umani da vicino, soprattutto attraverso Amanda, la bambina della famiglia Martin che lui chiama Piccola Miss (Hallie Kate Eisenberg). Una bambina che da adulta, a causa dei sentimenti verso Andrew – peraltro ricambiati nella loro innocente delicatezza, si ritrova in una leggera crisi quando il fidanzato la chiede in moglie.

Piccola Miss (diventata adulta con il volto di Embeth Davidtz) si sposa, ma il suo legame con Andrew è sempre immutato: speciale. Nel frattempo Andrew ha anche appreso come progettare e costruire orologi in legno, creando un vero e proprio business di cui diviene beneficiario economico grazie al Signor Martin. Grazie a colui che diventa un buon amico più che un padrone, Andrew riesce perfino ad avere la meglio nell’azienda che l’ha prodotto: non viene disseminato ma anzi, con gli studi da lui stesso effettuato, può diventare un robot dal volto più espressivo.

Gli anni passano e Andrew desideroso di una reale vita umana chiede di comprare la propria libertà dalla famiglia Martin. Pur deludendo il signor Martin per questa richiesta, riesce comunque ad ottenere la sua totale indipendenza, allontanandosi però dalla famiglia e andando a vivere da solo.

Andrew ritorna quando il Signor Martin in punto di morte desidera ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto per lui ed i suoi cari.

Andrew allora chiede a Lloyd, il figlio di Piccola Miss che lavora proprio alla Robotics, di aiutarlo a cercare gli altri robot della sua stessa serie di produzione per capire se ci sono altri esemplari come lui. Il giovane Lloyd, che non ha mai tollerato Andrew, decide di mandarlo in cerca di questi robot, credendo che sia l’occasione ideale per allontanarlo. La ricerca dura 20 anni e non porta a grandissimi risultati fino a quando non conosce Galatea a San Francisco, un robot NDR appartenente al tecnico Ruper Burns (Oliver Platt).

Grazie a Burns, Andrew scopre ulteriori progressi della robotica e finanzia la ricerca dell’amico, diventando in definitiva un umanoide. La trasformazione non gli basta mai, specialmente quando conosce Portia (sempre interpretata da Embeth Davidtz), la nipote di Piccola Miss. Con lei instaura un rapporto conflittuale di simpatia, che ben presto si trasforma in amore e che lo convince a fare un upgrade definitivo per diventare un essere umano.

Andrew scopre insieme a Portia l’invecchiamento, lui con i suoi organi ricreati e lei con i suoi organi biologici ma purtroppo, date le loro condizioni, non possono sposarsi poiché lui non viene dichiarato umano dal Congresso Mondiale. Quando succederà, Andrew avrà compiuto 200 anni, diventando – finalmente – l’uomo più anziano mai vissuto: l’uomo bicentenario.

Il film è di rara delicatezza, sorprendentemente scorrevole e deliziosamente interpretato da Robin Williams. Il viaggio di Andrew è, ricordando vagamente Pinocchio, il viaggio di un uomo e non quello di un robot, il suo peregrinare è ciò che succede a qualsiasi individuo durante l’esistenza per qualsivoglia conquista.

A tratti il dramma prende il sopravvento in una storia che dalle premesse è fantascientifica ma che di fantastico ha ben poco. L’uomo bicentenario è la storia di una macchina dal cuore d’oro e dall’intelletto stupefacente che ritiene, per queste ragioni, di dover appartenere alla categoria degli umani.

L’uomo bicentenario ci lusinga continuamente, ci insegna come e quanto sia importante ricordarsi che noi siamo macchine perfette, in quanto mortali e in quanto fallibili: una contraddizione magnificamente vitale.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 5
Emozione - 5

4.6