La bambina segreta: recensione del film di Ali Asgari 

Diretto dallo stesso regista di Kafka a Teheran. E infatti kafkiane sono le peripezie di Fereshteh, ragazza madre di una bambina di cui nessuno deve sapere. 

La bambina segreta di Ali Asgari arriva al cinema con Cineclub Internazionale Distribuzione dal 19 settembre 2024, dopo essere stato presentato nella sezione Panorama della Berlinale 2022.

Fereshteh si è trasferita a Teheran da un anno e da due mesi è madre di una bambina, della quale il ragazzo con cui l’ha avuta si è del tutto disinteressato e di cui gli altri non devono conoscere la condizione di illegittimità. Uno zio ha un incidente e viene ricoverato in città: i genitori le telefonano per avvisarla che, per far visita al parente, avrebbero bisogno di potersi fermare una notte a casa sua. La giovane, studentessa lavoratrice impiegata in una tipografia, vorrebbe trovare una scusa per non ospitarli, ma non ci riesce. Inizia così il suo calvario, se vogliamo utilizzare un paragone sacrificale cristiano, o la sua odissea, se invece preferiamo abilitare un confronto con l’epos omerico: qualunque sia l’antonomasia adottata, si tratta di un viaggio decisamente kafkiano – e Kafka a Teheran è il titolo dell’antologia a nove quadri filmici realizzata dallo stesso regista, Ali Asgari, e distribuita, con successo, l’anno scorso in Italia – per le strade della capitale iraniana alla ricerca di qualcuno che possa occuparsi per qualche ora della neonata. I nonni della piccola, infatti, non dovranno scoprire la sua esistenza.

La bambina segreta: dal regista di Kafka a Teheran, le disavventure ‘kafkiane’ di una giovane madre alla ricerca un posto sicuro in cui nascondere la figlia neonata

la bambina segreta recensione cinematographe.it

Il film è apparentemente semplice nella sua struttura circolare, a Ringkomposition: scandito da un’articolazione tripartita, segue il passaggio dall’interno dell’abitazione della protagonista e dall’esterno prossimo del ballatoio del condominio all’esterno allargato, tentacolare, della metropoli per poi ritornare simmetricamente al punto di partenza, al contenitore che all’inizio proteggeva il segreto di una maternità irregolare, ma che, nel tempo artificiale del film che condensa il tempo naturale della peregrinazione di Fershteh, si trasforma in un guscio incrinato, in una bolla bucata. Eh sì, perché la ragazza che da quella casa è uscita di giorno non è la stessa che vi ritorna la sera. Nel frattempo, grazie anche all’aiuto di un’amica, Atefeh, sorella complice nell’assurdità della sventura, Fereshteh infatti sperimenta l’anestesia emotiva conseguente all’interiorizzazione di un occhio controllante, di un sistema spionistico che, da potere, per quanto occulto, esterno, si è rivolto all’interno e si è fatto autocensura, castrazione autoindotta, assimilazione di un’istanza di repressione. Istanza integrata al sé e proiettata sugli altri, tutti potenziali fastidi, con effetti di raffreddamento mortifero e mortificante, di lugubre correttismo. 

La polizia morale non vigila i comportamenti degli uomini e soprattutto delle donne iraniane verificando esclusivamente ‘in strada’ che siano conformi ai dettami della morale religiosa, ma quel che è peggio è che s’insinua subdolamente nelle coscienze, annienta la solidarietà umana, allontana non solo le donne dagli uomini loro primi oppressori, ma le donne dalle altre donne, in una nullificazione sostanziale della differenza sessuale: non sono tanto gli uomini a irrigidirsi per preservare l’identificazione con il loro sesso dalla ‘minaccia’ femminile, quanto le donne a fallicizzarsi, a schierarsi dalla parte del Grande Padree del Grande Fratello – tirannico, della legge liberticida che ha paura delle donne, del loro costituire sempre l’eccezione e mai la regola. Gli uomini rappresentati nel film, certo, sono pavidi o profittatori, irresponsabili o viscidi, eppure le donne – a eccezione di chi, come l’avvocatessa, vorrebbe aiutare, ma un arresto le impedisce di farlo – non sono meglio di loro, nell’ansia di allinearsi al potere maschile, di non tradirlo, in fondo di sostenerlo quali sue devote burocrati. 

La bambina segreta: valutazione e conclusione

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Guardando il film, viene in mente la cronaca recente della giovane infanticida di Traversetolo, per cui i suoi due bambini partoriti e prontamente soppressi facevano da ostacolo alla prosecuzione di una routine efficientista e socialmente apprezzata, oppure l’esempio di tanti genitori schiacciati dalle incombenze lavorative e dall’obbligo della produttività per i quali i figli sono spesso pacchi da depositare qua e là, in attesa di essere riscattati a fine giornata: la giovane madre del film tuttavia non somiglia né alla ragazza viziata per cui la gravidanza è un inciampo da occultare agli occhi degli altri e alla sua stessa coscienza né tantomeno agli adulti occidentali esausti che vedono i loro bambini ingombrare lo svolgimento scrupoloso della loro agenda. Nella sofferenza e nell’apprensione che le costano separarsi dalla piccola, c’è lo struggimento della donna che non considera sua figlia un prezzo da pagare per un errore, bensì l’eccedenza – e l’eccentricità, l’azione decentrante – di un desiderio erotico che, se pure è per sbaglio che ha dato origine a una vita, non viene rigettato, bensì accolto, in un’accettazione assoluta, grata e benedetta, della deviazione che ha rappresentato rispetto a un corso esistenziale normale perché ‘normato’ da altri, perché altrimenti isterilito (e isterizzato) da logiche di opportunità e di convenienze.

La bambina segreta è allora soprattutto la storia di una bambina che non è la bambina premurosamente accudita dalla madre, madre per la quale mettere la sua piccola in un borsone anche solo per qualche minuto è un atto, benché necessario, straziante, ma la bambina a suo modo ‘segreta’ è la madre stessa, madre che, nel corso di un incubo di qualche ora, diventa per la prima volta donna, responsabile non tanto – quello lo era già – della figlia messa al mondo, ma del desiderio suo proprio di metterla al mondo, un desiderio sì solitario e forse incomprensibile, eppure potente, uno stimolo iniziatico a nascere lei stessa, a mettersi lei stessa al mondo. A qualunque costo. Il cinema iraniano dà allora prova ancora una volta di saper allestire, con i mezzi espressivi e materiali più poveri, servendosi di codici apparentemente ‘veristi’ eppure trascendenti rispetto all’impostazione, discorsi filmici di grande ricchezza in cui all’imbastitura civile della riflessione si sovrappone, per poi dipartire, una trama complessa di simboli, di sconfinamenti della realtà nella fiaba di formazione, di evasioni in verità non tanto poetiche in sé, quanto proprie del poetico: è anche questo il caso, poiché lo schiaffo ricevuto in piena faccia dalla società perfidamente spiona o perfidamente indifferente scuote e sospinge la protagonista a un movimento soprattutto interiore di emancipazione, a una crescita individuale, a una coincidenza più autentica con sé stessa.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4