La casa degli sguardi: recensione del film di Luca Zingaretti
L’esordio alla regia di Luca Zingaretti resta fedele alle pagine di Mencarelli. Una dolorosa riflessione sull’elaborazione del lutto e il significato profondo della cura e del perdono. Con un grande Gianmarco Franchini. In sala da giovedì 10 aprile.
A un anno di distanza dalla seconda – e forse ultima – stagione di Tutto chiede salvezza, le pagine di Daniele Mencarelli, si fanno un’altra volta cinema. È il caso di La casa degli sguardi di Luca Zingaretti, tratto dall’omonimo romanzo di Mencarelli, presentato in anteprima italiana nell’ottobre del 2024 alla Festa del Cinema di Roma e al cinema dal 10 aprile 2025 con Lucky Red. Niente più serialità, questa volta l’immaginario iperrealistico di Mencarelli viene tradotto per il linguaggio altrettanto specifico del cinema e affidato allo sguardo – è il caso di dirlo – sapiente di Zingaretti, qui all’esordio registico, dopo alcuni episodi dell’ormai storica serie de Il commissario Montalbano.
Gli uomini “rotti” di Daniele Mencarelli

Se è vero che i giovani uomini raccontati da Mencarelli, potrebbero in qualche modo coesistere all’interno di un unico ed espanso universo narrativo e tematico, è altrettanto vero che Marco (straordinario Gianmarco Franchini), a differenza di Daniele Cenni (l’ottima prova di Federico Cesari è ormai ancorata a noi, incapace di andarsene) pur consapevole d’essere a pezzi, osserva il potenziale aiuto dell’esterno, dell’altro, rifiutandolo ripetutamente. Cercando dunque la forza e il modo d’uscirne in totale, o quasi autonomia. Una forza che Marco rintraccia nella scrittura, nella poesia e poi nell’amore, dapprima per sé stesso e poi per il padre, interpretato da un solidissimo Luca Zingaretti, coriaceo eppure fragile.
Quanto racconta di noi e quanto dell’arte, o ancor più nello specifico, della scrittura in quanto rifugio, che non è fuga, bensì luogo di salvezza e protezione, punto di vista altro sul mondo e sul dolore, così come sui volti e il passato. Fuggono entrambi d’altronde, tanto Marco, quanto il padre. Si nascondono in un dolore antico e poi in un altro, nuovo, le cui radici però fanno ancora riferimento al passato, a quella morte non ancora elaborata e al perdono. Più di ogni altro luogo o spazio della memoria e del vivere, La casa degli sguardi si sofferma sulla nostra – e loro – incapacità di perdonare e perdonarsi. Ecco perché tanto il testo di Mencarelli, quanto l’esordio di Zingaretti non intendono affatto farsi parabola sulle conseguenze della dipendenza, quanto sulla mancata elaborazione e la capacità di dire addio, anche attraverso la scrittura.
Un addio che torna e si ripete più volte. Quello della madre, quello di un bambino che quotidianamente dà del cornuto a Marco, per poi tornare a sorridere di quel dolore e male destinato a portarlo con sé e ancora l’addio che Marco ripetutamente lega a tutto ciò che prospettiva futura e nuovi ruoli. Tutto ciò che arriva, viene distrutto. Anche qui, non è la dipendenza, non è il caos giovanile, sul quale comunque La casa degli sguardi riflette, basti pensare all’incapacità di amare, piuttosto ancora una volta l’impossibilità di superare il dolore e accettare la resa, cui segue l’avanzamento, l’oltre, il futuro.
La casa degli sguardi: valutazione e conclusione

L’eredità raccolta da Zingaretti è pesante e molto. Eppure il cinema rende onore all’immaginario di Mencarelli restandogli fedele, per poi indagare realmente gli sguardi, i volti, i silenzi grazie a quella macchina da presa che non si allontana mai, restando aderente ai corpi e agli scambi – o piani d’ascolto – che si ripetono e non s’arrestano mai. Marco osserva suo padre in lontananza, sul ponte. Lo osserva e sorride, amando evidentemente quell’antica abitudine, che non casualmente ha a che fare con la cura, pur riservata ai fiori. Zingaretti indugia, perché è lì che coglie il senso profondo di una narrazione che deve raccontare sia la necessità del perdono, che quella della cura.
Quanto spesso rifiutiamo l’aiuto? Quanto spesso nel farlo, tendiamo ad aiutare gli altri, raccontandoci comunque qualcosa di noi? Nel frattempo il silenzio, lo sguardo e perfino la consapevolezza di un dolore che radicato in profondità, non sembra volerci abbandonare mai. Eppure lo sappiamo bene, il dolore non è mai la destinazione finale, è un rito di passaggio. Marco lo sa bene, ancor meglio Franchini, un interprete da tenere d’occhio, in una prova qui dolorosa ed estremamente introspettiva, capace di osservare l’autodistruzione e un attimo dopo la cura. È dal suo sguardo che il film prende vita, animandosi sempre più.
Sulla scrittura e il perdono. La casa degli sguardi è al cinema a partire da giovedì 10 aprile, distribuzione a cura di Lucky Red.