RomaFF13 – La diseducazione di Cameron Post: recensione
La pellicola, presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma si configura come uno dei film più importanti oggi sull'omosessualità.
L’educazione è un fattore fondamentale per il genere umano. Educare le persone a sapersi comportare, educarle a vivere nel modo più gentile possibile, disponibile, cercando di insegnare loro la maniera di stare in comunione nel rispetto più assoluto dell’altro, sotto il punto di vista intellettuale e personale. Ma ci sono anche altri tipi di educazione, quelli che non solo vengono imposti, ma che si spingono oltre un confine di rispetto dell’individuo da diventare diseducazione. Diseducazione politica, diseducazione scolastica e, entrando nelle interiorità, diseducazione culturale e sessuale. Diseducazione della propria identità.
Partendo da tale pratica ai limiti del dissociativo, portando la persona ad odiare se stessa e, perciò, la sua naturale predisposizione nello stare al mondo e nelle relazioni, la scrittrice Emily M. Danforth realizza il suo La diseducazione di Cameron Post, diventato adattamento cinematografico per la regista Desiree Akhavan con protagonista Chloë Grace Moretz, e ponendo sotto i riflettori l’abuso emotivo di centri di recupero che tentano di restituire ai ragazzi la propria eterosessualità.
È per un momento di passione sui sedili posteriori di una macchina che Cameron (Chloë Grace Moretz) è stata condotta dalla zia nella comunità di God’s Promise. Ma, se quello con Coley (Quinn Shepard) al ballo è stato puro istinto carnale, l’amore per la ragazza è ben radicato nel profondo di Cameron, che deve cercare di estirpare il suo peccato durante la permanenza al centro. L’omosessualità può essere curata, bisogna soltanto avere fede.
La diseducazione di Cameron Post – Un film che purtroppo è realtà
I giovani sono sottoposti a molteplici tentazioni e gli adulti devono controllare che non commettano nessuno sbaglio. È ciò che Dio vuole, far sì che chiunque venga protetto dal maligno e, se si tratta di gay e lesbiche, sembra che la maniera migliore sia quella di proteggerli prima di tutto da se stessi. Sarebbe bello se una mentalità simile fosse soltanto frutto di un universo parallelo, in cui ad un essere umano non è permesso di esprimere il proprio modo di rapportarsi al quotidiano e alla propria preferenza sessuale come più desidera, sfruttando il dominio della religione e spingendo il giudizio divino ad influire come correzione per un danno che, in verità, non c’è mai stato.
È invece di realtà che parla La diseducazione di Cameron Post, centri di recupero dell’eterosessualità che affliggono con un maltrattamento emozionale per riportare sulla retta via quei discepoli che si erano smarriti. E che in America vengono ancora supportati. Prodotto dalla regista Akhavan e dalla sceneggiatrice Cecilia Frugiuele, il drama indie vincitore del Gran premio della giuria: U.S. Dramatic al Sundance raffigura con assenza di pietismo il percorso di riabilitazione a cui sono costretti a sottoporti i ragazzi e la protagonista, senza puntare sulle corde sensibili del sentimentalismo, ma procedendo con scioltezza per tutta la sua storia.
La diseducazione di Cameron Post – Uno dei film più importanti oggi sull’omosessualità
La diseducazione di Cameron Post si ibrida non volendo approfittare, dunque, del proprio tema, ma sfruttando al massimo le proprie opportunità sia nella descrizione dei suoi personaggi, sia ancor di più nella messa in pratica degli eventi che passano sullo schermo. La sessualità non viene presentata con remore alcuna, riservando una carica carnale elevata, ma mai erotica, esposta con la naturalezza che la rende quello che è: normale e bellissima.
I lineamenti di Chloë Grace Moretz assecondano con la misura necessaria il disagio della sua protagonista, velando quei connotati quadrati che la caratterizzano con uno strato di tristezza, mai però abbastanza forte da buttarla giù. Un personaggio che non si colpevolizza, non cerca il perdono o la redenzione per ciò che lei, coscienziosamente, ritiene innato e, per questo, inattaccabile. Ed è nella sua risposta ripetuta a più rimandi che viene posto il lato emblematico del film, un “non saprei” talmente indicativo che conferma l’invisibilità del problema nell’omosessualità di qualsiasi ragazza, ragazzo o persona. Il non saper dare spiegazioni, perché non c’è nessuna spiegazione da dover dare.
Toccando nel privato senza mai strafare, sapendo riportare la ragione lì dove nella vita di tutti i giorni questa va a mancare, La diseducazione di Cameron Post ha il pregio di essere uno dei film più importanti che si possano trovare oggi sull’omosessualità. Ed il motivo è perché sa accettarla come tale.
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