La fidélité: recensione del film con Sophie Marceau
La recensione de La fidélité, il film per la regia di Andrzej Zulawski e con protagonista Sophie Marceau, adattamento del romanzo La principessa di Clèves.
La carne, intesa come nuda pelle, intesa come corpo che desidera; questa è una delle costanti del cinema di Andrzej Zulawski, una costante che è al centro anche di questo racconto, ricco di metafore e riflessioni sulla fine dei tempi. Quello di Zulawski è un cinema che conturba, contorce e rilassa, affascinante e misterioso, basta citare Possession (1981) o La sciamana (1996). Zulawski narra la storia di Clelia (Sophie Marceau), della sua carne, della fedeltà e dell’ amore, narra il suo desiderio, le sue paure e i suoi dolori in La fidélité, adattamento contemporaneo del romanzo La principessa di Clèves, il più celebre di Madame de La Fayette, pubblicato nel 1678.
La fidélité: Clelia tra due uomini
Il film ci porta subito nella vita di Clelia, una promettente fotografa che ottiene un lavoro a Parigi alle dipendenze di McRoi, vecchio “amico” di sua madre. Mentre passeggia per le strade della capitale alla ricerca di nuovi soggetti per le sue fotografie, Clelia conosce Cleve, editore di libri per bambini; basta poco e l’uomo perde la testa per quella donna bella e misteriosa e la sogna, la pensa, la desidera. La loro conoscenza porta ad un matrimonio contratto da parte della donna più per stima, convenienza, affetto che per amore. Può durare per sempre questo finto idillio di giochi e tenerezze? No; Clelia conosce Nemo, un collega, suo coetaneo, dal passato misterioso, e così si crea un complesso menage a trois dopo il quale nulla sarà più come prima.
La fedeltà del titolo è ciò contro cui deve combattere Clelia; il marito e l’amante, la sicurezza e la bramosia, la certezza e il mistero, questa è la serie dicotomica che la conturba e la anima. I sensi di colpa la tormentano perché quando torna da Cleve lei ha ancora addosso Nemo – nomen omen – e il suo pensiero, e quando è con Nemo in un primo momento è frenato dall’anello che porta al dito ma poi la passione e il desiderio la rapiscono. Clelia deve misurarsi in questa guerriglia che la conduce in una continua oscillazione tra due uomini tanto diversi eppure, anche se in modo diverso, tanto importanti per lei.
La fidélité del regista polacco non è semplice, anzi, è un’opera piena, intrisa di significati, è come un fiore di carta creato dalla sovrapposizione di molti petali, è affascinante ma anche disturbante, ma è materia viva che si compenetra e si divide di fronte agli occhi dello spettatore. Clelia è messa a dura prova, come succede sempre ai personaggi dei film di Zulawski, sbattuta dalla vita, urtata dalle difficoltà, messa alla prova sempre di più, spinta verso un Inferno in terra da cui non è facile fuggire. Al centro di tutto c’è lei che si trova immersa in un mondo di uomini e donne alla deriva e a lei non resta che sopravvivere, aggrapparsi, sperare di non soccombere: la malattia della madre, la lotta tra fedeltà e tradimento, tra il corpo di Cleve e quello di Nemo, il suo desiderio di crescere, la visione attraverso l’obiettivo. La vita tormentata di Clelia si apre ai nostri occhi come una delle sue brutali istantanee, come il suo corpo pronto ad accogliere quello di un uomo, il marito e l’amante, il borghese e l’anarchico.
Il racconto di un dissidio profondo
Clelia si trova in un menage a trois che la mette di fronte ad un dissidio profondo, da una parte c’è Cleve che rappresenta il mondo borghese, dall’altra c’è Nemo che rappresenta quello anarchico, ma che sono facce della stessa medaglia ed è inevitabile che Clelia sia affascinata in maniera diversa da entrambe ma anche le rifiuti. Se con la macchina fotografica in mano Clelia è sicura, audace, pronta a cogliere – ed è proprio lo strumento a diventare il suo sguardo, il suo modo per apprendere il fuori comprendendo così anche il dentro -, senza “occhio” è una spettatrice del mondo disarmata, svuotata di tutto, incapace di mettere a fuoco ciò che la circonda.
Il film ci sbatte in faccia la vita della protagonista, le sue giornate, come fa Clelia con la sua macchina fotografica, e il cineasta narra questa storia di carne, sesso, misteri e soluzioni utilizzando virtuosismi, giochi di specchi, offuscamenti e soggettive. Chi guarda rimane sorpreso, scioccato, perso nel gorgo di violenza e tenerezza, di introspezione e carnalità.
La fidélité è un susseguirsi di situazioni, di amplessi, di tradimenti e di riavvicinamenti, di fughe e ritorni, di figure secondarie che portano la donna nella poesia e nel disagio; prende forma una narrazione particolare che coinvolge e che accompagna all’interno dell’emotività e della carne di Clelia.
La fidélité: una storia con due anime
La fidélité si costruisce da una parte sull’erotismo che si amplifica, respira, mangia e si ciba degli uomini, delle loro carni, e di quello di Sophie Marceau, emblema di una sensualità che risveglia e sconvolge, con un corpo che si mette a nudo in tutti i sensi, dall’altra su una sonata di pianoforte che segue la storia di Clelia, durante gli amplessi, la disperazione, gli abbracci e la rabbia. La narrazione è un modo per costruire percorsi tortuosi e arcani, fatti di geometrie e metafore, eccessi e esasperazioni, e tutto avviene attraverso e grazie alla protagonista, guardata, posta sul tavolo settorio e colta nelle sue più intime forme e nei suoi più nascosti pensieri dallo sguardo del regista e dalla sua folle macchina da presa.