La gatta sul tetto che scotta: recensione del film di Richard Brooks
A 60 anni dalla sua uscita, La gatta sul tetto che scotta rimane un sublime affresco sulle più complesse dinamiche familiari e un fulgido esponente dell'età d'oro di Hollywood.
La gatta sul tetto che scotta è un film del 1958, scritto e diretto da Richard Brooks sulla base dell’omonima opera teatrale di Tennessee Williams. I protagonisti del film sono Elizabeth Taylor, Paul Newman, Burl Ives, Jack Carson e Judith Anderson. Nonostante le sostanziali modifiche all’opera originale, rese necessarie dal rigido Codice Hays che regolava le produzioni cinematografiche dell’epoca, secondo il quale era vietata anche soltanto la menzione dell’omosessualità (considerata allora come perversione sessuale), La gatta sul tetto che scotta conquistò immediatamente il pubblico e gli addetti ai lavori, guadagnando sei nomination all’Oscar e 17 milioni di dollari del tempo al botteghino nei soli Stati Uniti. L’inizio del successo e della fama di una pellicola memorabile, che a 60 anni esatti dall’uscita non accenna a essere intaccata dal tempo.
La gatta sul tetto che scotta: un classico intramontabile
Dopo essersi fratturato una gamba nel nostalgico tentativo di rispolverare le sue qualità nel salto dell’ostacolo, l’ex giocatore di football Brick (Paul Newman) si reca insieme alla moglie Maggie (Elizabeth Taylor) a fare visita ai suoi genitori, in occasione del compleanno del padre Harvey (Burl Ives). Brick attraversa un profondo disagio personale, vittima di un serio problema di alcolismo, di un tormentato rapporto con il padre (malato a sua insaputa di cancro) e soprattutto di una grave crisi coniugale, dovuta principalmente a una relazione mai chiarita fra Maggie e il suo migliore amico Skipper, poi defunto. Fra le mura di un’abitazione sperduta nel Mississippi, emergono drammi e problemi familiari mai affrontati a dovere in precedenza. Fra lotte per l’eredità, rancori repressi e disperati tentativi di aggrapparsi al benessere raggiunto, ogni personaggio tirerà fuori i lati migliori e peggiori del proprio carattere, nel tentativo di guadagnarsi un futuro migliore.
Emblema degli ultimi sussulti della golden age del cinema americano, ormai in procinto di farsi travolgere dai giovani rivoluzionari della Nouvelle Vague e della New Hollywood, La gatta sul tetto che scotta era e rimane un fulgido esempio di un cinema profondo e universale, capace di travalicare i confini di tempo, usi e costumi per raccontare lucidamente ciò che avviene fra le mura casalinghe, da sempre modello della pace e della serenità familiare ma in realtà spesso teatro dei più violenti scontri e dei più squallidi intrighi. Un cinema fatto con pochi mezzi (le location sono quasi esclusivamente composte dagli interni della casa dei protagonisti in Mississippi) ma con un’encomiabile attenzione per i personaggi, magistralmente portati in scena da vere e proprie leggende della Settima Arte come Elizabeth Taylor e Paul Newman.
La gatta sul tetto che scotta: un classico senza tempo, reso immortale dalle monumentali interpretazioni di Paul Newman ed Elizabeth Taylor
Con un’impostazione narrativa inevitabilmente teatrale, La gatta sul tetto che scotta dà vita a un dramma familiare di rara intensità, in cui si muovono e si scontrano fra loro personaggi duri, irrisolti, spigolosi, a tratti persino detestabili, che incarnano alla perfezione difetti e contraddizioni dell’animo umano. A rubare prevedibilmente la scena a tutti è una folgorante Elizabeth Taylor, che con una delle migliori interpretazioni della sua carriera regala anima e corpo alla “gatta” del titolo, barcollante su un tetto insidioso, ovvero il posto al sole conquistato con il matrimonio con Brick, e intenzionata a rimanervi attaccata con ogni sua risorsa. Stretta in un abito bianco che risalta le sue prorompenti forme ed esaltata da primi piani sui suoi celeberrimi occhi viola, la diva dipinge il complesso ritratto di una moglie cinica e allo stesso tempo appassionata, che con il passare dei minuti diventa ago della bilancia della complessa situazione familiare.
Non da meno un Paul Newman meno macho del solito e più dannato che bello, volto di un uomo spinto dal rancore e dal rimorso verso una spirale autodistruttiva apparentemente senza uscita. Una performance solo superficialmente monocorde, ma che in realtà diventa fondamentale per la riuscita del film, che altro non è che una lunga serie di scontri verbali, con il suo personaggio quasi sempre coinvolto. Richard Brooks trae il meglio da questi due straordinari interpreti e dal testo teatrale originale, costruendo un quadro familiare ricco di sfaccettature contrastanti, che spazia con raffinatezza e intelligenza dalla collera al ritrovato amore, capace di sciogliere l’ingarbugliata matassa del film.
La gatta sul tetto che scotta: un film più attuale che mai
Particolarmente toccanti in questo senso sono i dialoghi perfettamente congegnati fra Brick, Maggie e il capofamiglia Harvey, ormai con il fiato della morte sul collo e perciò incline a risolvere i tanti punti rimasti in sospeso nella propria esistenza. Dalle parole livorose e allo stesso tempo appassionate dei protagonisti, dai loro eloquenti silenzi e dai loro ficcanti sguardi comprendiamo e viviamo quasi sulla nostra pelle tanti dei problemi che attanagliano le famiglie di ogni epoca: dall’appassimento della passione fisica, rivelatore di un disagio più profondo, all’incapacità di dialogare sui temi e sulle vicissitudini che creano astio, passando per il sempiterno bisogno d’amore dei figli e per la necessità da parte dei genitori di sacrificare parzialmente gli affetti per costruire un futuro solido per sé e per la propria discendenza.
Un quadro più attuale che mai, completato da personaggi di contorno volutamente in secondo piano e al limite del macchiettistico, come la fedele moglie di Harvey, il suo mediocre primogenito o la sua subdola nuora, funzionali alla progressiva esplosione dei tratti caratteriali più forti e positivi dei protagonisti. Un climax emotivo dai perfetti tempi narrativi, esaltato da una scrittura che riesce nel miracolo sempre più raro di dare alle parole la stessa forza e la stessa profondità delle immagini.
La gatta sul tetto che scotta sconta gli inevitabili tagli sul tema dell’omosessualità
Il tallone d’Achille de La gatta sul tetto che scotta è fatalmente rappresentato dalla necessità di tagliare fuori dal racconto qualsiasi riferimento all’omosessualità, in nome del già citato Codice Hays. Una scelta inevitabile, anche se osteggiata dallo stesso Paul Newman, che porta all’inserimento nella trama di una forzata e poco credibile amicizia virile fra Brick e il suicida Skipper al posto dell’amore omosessuale fra i due previsto nel testo originale. La mancanza di questo fondamentale tassello indebolisce sia il dramma interiore di Brick, costantemente in bilico fra la rabbia per il presunto tradimento di Maggie con Skipper e il dolore per la perdita dell’amico, sia le continue allusioni sessuali del personaggio di Elizabeth Taylor, desiderosa di riaccendere la passione sopita e di avere prole col marito, rendendo inoltre a tratti pretestuoso l’astio di Harvey nei confronti del figlio, troppo rovente per essere causato soltanto dal suo alcolismo.
A impedire a La gatta sul tetto che scotta di deragliare è la finezza della scrittura di Richard Brooks e del suo assistente alla sceneggiatura James Poe, sublime nel giocare sul sottile filo fra il detto e il non detto e nel suggerire allo spettatore ciò che non può essere esplicitato, e soprattutto le interpretazioni – ci teniamo a ribadirlo – monumentali da parte di Paul Newman ed Elizabeth Taylor, attori insostituibili e di una bravura più unica che rara. Grazie al gioco di sguardi fra i due, alla loro enfasi su alcune parole chiave, alle loro particolari movenze (dimesse per Newman e quasi aggressive per la Taylor, nonostante la situazione preveda il contrario) e alle vedute di oggi in ambito sessuale, solo leggermente più ampie di quelle di 60 anni fa, diventa inevitabile per uno spettatore odierno, inconsapevole dei tagli effettuati, aspettarsi da un momento all’altro la rivelazione dell’omosessualità di Brick.
La gatta sul tetto che scotta rimane un sublime saggio sulle più complesse dinamiche familiari
Prova di grande intelligenza cinematografica da parte di ogni componente coinvolta, che fa però accrescere il rimpianto per la modifica richiesta dalla retrograda morale dell’epoca, che ha impedito a La gatta sul tetto che scotta di essere un’opera ancora più significativa e di rottura rispetto a quanto non sia già.
Nonostante le edulcorazioni rispetto all’opera teatrale, La gatta sul tetto che scotta resta ancora oggi un eccezionale saggio sulle più complesse dinamiche familiari, capace di infondere un senso di ritrovata fiducia nell’amore e negli affetti nonostante ondeggi incessantemente fra morte, tradimento e autodistruzione, e in grado inoltre, grazie al fascino e al magnetismo di Elizabeth Taylor, di sprigionare una carica erotica che molte pellicole contemporanee, con nudità maliziosamente in bella vista, possono solo sognare. Un classico senza tempo e irripetibile, che ora come ieri ci riconcilia con un cinema capace di farci riflettere ed emozionare sulle nostre miserie.