La ira de Dios: recensione del thriller argentino Netflix
La recensione dell’opera quarta di Sebastián Schindel, adattamento del romanzo La lenta morte di Luciana B. di Guillermo Martinez, rilasciato su Netlix il 15 giugno 2022.
Quando si è trattato di portare sullo schermo storie dai risvolti mistery e crime, la cinematografia argentina non si è mai tirata indietro, arrivando a conquistare importanti riconoscimenti a livello internazionale come l’Oscar per il miglior film straniero nel 2010 grazie a Juan José Campanella e al suo pluridecorato Il segreto dei suoi occhi. Questa, come altre pellicole inscrivibili nella famiglia allargata del thriller, ha dimostrato cosa il cinema argentino sia in grado di partorire e quale tipo di contributo possa dare al genere in questione. Ma non tutte le ciambelle vengono con il buco, motivo per cui ci si può trovare al cospetto di prodotti che per un motivo o per un altro non sono riusciti a raggiungere i medesimi risultati. Guarda ad esempio l’ultima arrivata in casa Netflix, l’opera quarta di Sebastián Schindel dal titolo La ira de Dios, adattamento del romanzo La lenta morte di Luciana B. di Guillermo Martinez, rilasciato dalla piattaforma statunitense il 15 giugno 2022.
la scoperta della verità e di chi tra i due poli opposti ne sia l’autentico depositario rappresenta l’ingranaggio principale del meccanismo mistery di La ira de Dios
Il film ci scaraventa senza rete di protezione nella vita ormai in frantumi di Luciana, convinta dopo una denuncia per molestie che un noto romanziere per il quale ha lavorato sia coinvolto per vendetta nelle tragiche morti dei suoi cari. Per dimostrarlo e svelare la propria verità, la donna si rivolge a un giornalista di sua conoscenza, che suo malgrado si troverà stretto tra le due parti quando lo scrittore accuserà a sua volta Luciana di essere una diabolica manipolatrice, pervasa soltanto da un profondo senso di colpa. Proprio la scoperta della verità e di chi tra i due poli opposti ne sia l’autentico depositario rappresenta l’ingranaggio principale del meccanismo mistery di La ira de Dios. Per l’intera durata della timeline, la scrittura e la sua messa in quadro si affidano al dubbio su chi sia la vittima e chi invece il carnefice, con lo spettatore di turno che si trova a fare i conti con un continuo ribaltamento delle posizioni che ne mette in discussione la posizione. In questo modo, il fruitore non saprà sino agli ultimi minuti a chi credere.
La ira de Dios funziona grazie a una serie di escamotage mirati a depistare, aggirare e gettare fumo negli occhi al fine di confondere le acque e la mente dello spettatore
La capacità della scrittura di tenere la partita aperta sino all’ultimo fotogramma utile consente al film di tenere sul filo del rasoio il pubblico e di impedire che l’attenzione di questo vada scemando strada facendo sino a disperdersi. Il ché rappresenta un punto a favore della pellicola del cineasta argentino, non nuovo prodotti di genere e a film nei quali i meccanismi mistery occupano un peso specifico rilevante. Da questo punto di vista La ira de Dios funziona, grazie a una serie di escamotage mirati a depistare, aggirare e gettare fumo negli occhi al fine di confondere le acque e la mente dello spettatore. Prese singolarmente, dunque, le suddette manovre risultano efficaci e mostrano i loro frutti sullo schermo. Quanta basta per coinvolgere lo spettatore in una partita a scacchi che avrà un vincitore, se così si può chiamare in assenza di termini più adeguati alla tipologia di vittoria, solo in prossimità dell’epilogo. Un epilogo che arriva dopo lo sviluppo di un racconto che interseca e alterna piani temporali tra passato e presente. Il tutto nella classica struttura circolare che offre un assaggio nei primi minuti per poi darci appuntamenti in quelli finali, dove la nebbia di dirada e tutto si fa improvvisamente chiaro.
Convincenti i tre interpreti, ma c’è un abbassamento della soglia della credibilità rispetto a certe dinamiche che indebolisce il film
E allora cosa non permette a La ira de Dios di portare a termine la missione e di conquistare qualcosa di più di una striminzita sufficienza? Quel qualcosa sta nell’abbassamento della soglia della credibilità rispetto a certe dinamiche ed eventi che vanno a comporre la linea gialla. Certe situazioni appaio al limite, forzate e incastrate nell’architettura narrativa e drammaturgica per permettere ai fatti di quadrare. Sta qui il tallone d’Achille di un’opera altrimenti potenzialmente ben costruita sul piano thriller, ma che risente di alcune dinamiche forzate. A tenerle in piedi ci pesano gli attori ai quali Schindel ha affidato i tre vertici del racconto, con i convincenti Macarena Achaga e Diego Peretti nei panni di Luciana e dello scrittore a posizionarsi sugli estremi. Nel mezzo un altrettanto convincente Juan Minujín in quelli di un giornalista che si trova tra i due fuochi, a combattere per la verità.